Sanmichele di Arce

Non tutti lo sanno.
Si produce ad Arce il SANMICHELE

Giorni addietro, mentre mi accingevo a preparare un servizio giornalistico riguardante una manifestazione enogastronomica, ho scoperto con immenso piacere che nel mio paese, Arce, esiste una produzione di un vino pregiato quale è il Sanmichele (non è un errore di scrittura).

Il Comm. Eleuterio Polselli (titolare e proprietario della Azienda), subito contattato, mi invitava a visitare il suo magnifico vigneto posto su due colli in località Portone e visibile a chi transita sulla via Casilina nel punto d’incrocio con il bivio per Pico e San Giovanni Incarico.

Le foto che seguono, testimoniano quanto detto, ma il Comm. Eleuterio Polselli mi faceva notare l’interessamento di Luigi Veronelli, che, nel suo volume “I Vini d’Italia” descrive tutte le qualità del famoso vino.

(Bernardo Di Folco)

Seguono alcuni passi tratti proprio dal volume suddetto.

I VINI D’ITALIA
(Luigi Veronelli)

Si è affermato che il vino e soprattutto un grande vino, è una specie di «buona sorte». Non si può negare che vi sia un fondo di verità: il vino è la risultante d’una serie di coincidenze non solo fortuite ma neppure matematiche. Alla sua nascita concorrono: La scelta di uno o più vitigni e il loro equilibrio biologico, condizionato, nell’uno e nell’altro caso, da un seguito di congiunture metereologiche; il terreno, per la presenza o l’assenza di determinate rare sostanze, e per il suo comportamento alla pioggia e alla siccità; il clima, con le sue componenti, tra cui ha particolare importanza la quantità di sole che la vigna ha potuto tesaurizzare. Infine l’uomo che ne condiziona la riuscita con ogni atto, dalla coltivazione del vigneto alla cosiddetta vinificazione. E’ difficile improvvisarsi vignaiuoli: l’amore per il vino si tramanda di generazione in generazione, è come un ponte di passaggio tra passato e presente. Quattro elementi concorrono quindi alla produzione di un vino: la vite, il terreno, il clima e il lavoro dell’uomo. Per ottenere poi un grande vino di caratteristiche organolettiche costanti, sono necessari non solo tutti i suddetti elementi, ma che le condizioni di tutti e quattro siano sempre le stesse. E’ questa severa legge naturale che impedisce, senza eccezioni, che si produca, ad esempio, Barbaresco al di fuori della zona ristretta, che prescrive il più rigido esame e una inesorabile selezione nello introdurre moderni sistemi di coltura e di produzione, e che consiglia per l’impianto di nuovi vigneti, e del terreno, e dell’esposizione, e sui modi della coltura. Da ciò deriva la necessità di determinare le zone di produzione e di stabilire, anche in Italia, l’istituto della appellations controllées. Un grande vino è una creatura armonica così perfetta, che, per distruggerne l’equilibrio, è sufficiente, non dico sostituire, ma modificare una sola delle condizioni di questi elementi. Qui esamineremo i vitigni, il terreno, il clima e le operazioni della vendemmia e della vinificazione, in maniera elementare, avendo soprattutto presenti quei fatti che possono modificare le qualità gustative del vino.

LA VITE

«…nessuna pianta è altrettanto interessante. parla a chi la sappia intendere; e comoda, e si confida; o tal’ora delude e s’imbroncia e si nega; ma poi si riconcede magnifica. Bisogna starle costantemente vicini e studiarla senza riposo. La sua novità è inesauribile; la sua personalità è meravigliosamente complessa. Ora si deve trattarla con dolcezza, ora con astuzia, ora con energia. ma servirla sempre, amarla sempre e accontentarla spesso. Un anno è prodiga, l’anno dopo è avara. Ha capricci affascinanti e perversità diaboliche. ma è la pianta italiana, in tutti i tempi onorata; è la pianta che dà il montegiove, che è da un vino coraggioso, rosso rubino, dal profumo di viola come dicono gli esperti che si beve sopra gli arrosti. Che Fondi sia stata fondata da Ercole in riva a un lago ricco di anguille e di cefali, poco mi ci aggiunge e poco ce la colorisce. Per noi, quando diciamo Fondi, ci viene subito in mente il cecubo, che è un succo dal bel roso acceso, profumato, asciutto, che «dona al corpo ardore e accende l’estro», così ammaestra Plinio. Il lettore la prenda con cautela. Il cecubo di Plinio non era come quello che si beve adesso. i romani lo guastavano con giaggiolo e fieno o con petali di rose e calce e resina. E anzi è vino, amici, da gettarcisi sopra con avidità per dimenticare lo scellerato beveraggio dei romani. E ora eccoci a un altro vino «antico»: il falerno. Questa bevanda esce dalla vigne di Formia e di Gaeta; è rossa e bianca. Il bianbo è ambrato e profumato, dal gusto imperioso, secco, morbido; il rosso è asciutto, pieno, morbido. Fin verso la fine della repubblica fu uno dei vini insieme. Marziale implora: «Venga una decrepita anfora di negro falerno». Certo doveva essere (fieno e giaggiolo a parte) un signor vino, come oggi».

La provincia di Frosinone, come tutti sanno, è chiamata Ciociaria. non è molto lontano il ricordo di una plaga pastorale, reame dei greggi di pecore: detto in breve, un ambiente ruvido, paesaggi spaziosi, calmi con larghi vuoti solenni, circondati dai monti ampi del Lazio, aspri paesi murati nell’indifferenza e nella miseria, uomini accigliosi come briganti, usanze arcaiche, come le ciocie. Le cose sono molto cambiate. Le città, indichiamo di passaggio Frosinone e Cassino, sono cresciute sotto lo stimolo di una frenesia edilizia scoppiata dopo le distruzioni della guerra. Anche se si continuano a vedere numerose greggi di pecore la vecchia Ciociaria è scomparsa, insieme col colore locale. Le ciocie, che le belle spose dai volti di madonna portavano con grazia su e giù per le piccole strade a nodo non si incontrano più. Ora non creadiate di vedervi piangere per la scomparsa delle ciocie. Resta bene in piedi, la Ciociaria, e restano i suoi vini. Evviva la faccia del romagnano e del torre ercolana, bianchi entrambi, e dell’Anagni bianco, che nasce nella città dello schiaffo un succo di un bel giallo paglierino, fortemente profumato, asciutto o lievemente abboccato spesso asprigno. Non ci intratterremo a lungo sugli altri vini. ma indicheremo così alla svelta, e chiediamo scusa al paziente lettore, il sanmichele, bianco e rosso, asciutto, che nasce a Arce e a Atina, città dei volsci; il cesanese del Piglio, cugino di quello dei Castelli romani, rosso rubino carico dal sapore morbido o asciutto, di grazioso profumo, che scaturisce a Piglio a Olevano e a Affiile, e che, sapete, sta agli altri vinelli nostrali come il poemone di cento canti sta al madrigale e al sonetto.

FROSINONE

Sanmichele bianco

 

Uve: semillon 80%, pinot bianco 20%.

Adatto a moderato invecchiamento. Colore giallo dorato, fragrante aroma; aroma; sapore asciutto, franco, pieno, armonico.
Tenore d’alcool 12°, acidità totale 9,5‰.
Vino superiore da pesce. Servirlo a 9°C.
Arce, Atina
Sant’Elia Fiumerapido

 

Sanmichele rosso

Uve: cabernet francese 80% sirah e pinot rosso 20%.
Adatto all’invecchiamento. Colore rosso granata, brillante; intenso profumo. Sapore asciutto, morbido, pieno, armonico. Tenore d’alcool 13°, acidità totale 7,5‰.
Vino superiore da pasto; se bene invecchiato da arrosti di carne rossa. Servirlo a 18° Con questo vino si preparano dei superlativi fagioli al vino rosso.
Arce Atina
Sant’Elia Fiumerapido

Nella zona è prodotto, con la sola uva Sirah, un pregevole vino, franco e abboccato, il Sirah rosso, superiore da pasto.

Alcune immagini della Cantina e in alto, il vigneto.

Per informazioni:
Cantina Azienda Agricola
Comm. Eleuterio Polselli & Figli
Luogo di produzione: Colle Malvicino e Colle Galli
Vino già San Michele
Arce, via Portone, 19
tel. 0776.522296
simonesse@iol.it