Veroli
Provincia di Frosinone, abitanti 19.387, superficie Kmq 118,91, altitudine m. 570
Abitanti: Verolani
Festa patronale: Santa Maria Salome
Frazioni e Località: Casamari, Case Campoli-Panetta, Castelmassimo, Colleberardi, Catropagno, Giglio, San Giuseppe le Prata, Santa Francesca, Sant’Angelo in Villa, Scifelli.
Comuni limitrofi del Lazio: Collepardo, Alatri, Frosinone, Torrice, Boville Ernica, Monte San Giovanni Campano.
Distanza da Frosinone Km. 14
Autostrada: A1 Frosinone.
La Storia
Veroli sorge sul pendio di un colle dominando l’area interna che collega le valli del Sacco e del Cosa con la conca sorana. In alto sorge l’acropoli, di antichissima origine, sul colle più basso, la città vera e propria.
Diverse sono le spiegazioni sull’etimo del nome Veroli, l’antica Verulae: una delle più probabili porta al latino veruche indica un tipo di giavellotto.
Era una delle principali città erniche che controllava uno snodo importante fra Ferentino, Alatri e Sora. Dopo la battaglia del lago Regillo, Roma portò avanti una campagna di conquiste nel medio Lazio che la condusse anche all’assedio e alla conquista di Veroli. La città, abbandonata al saccheggio delle truppe, entrò dopo qualche tempo nell’orbita romana con il cosiddetto foedus Cassianum. Dopo il periodo dell’invasione gallica e della parallela ribellione volsca, a cui parteciparono anche gli ernici, i romani riconobbero a Veroli, ad Alatri e a Ferentino la cittadinanza e assoggettarono le altre città erniche. La città fu eretta così a municipium e si governò con istituzioni simili a quelle dell’Urbe.
La pace fu rotta solo con le guerre civili: Veroli non poteva che essere dalla parte di Mario, nativo della vicina Cereatae, oggi appartenente al territorio comunale verolano. A seguito della sconfitta di Mario, la zona di Cereatae fu assegnata ai reduci della Germania e Veroli fu ridotta a colonia militare. In seguito, la città ernica tornò a essere municipium e vi fu costruito un tempio dedicato ad Augusto.
Numerose sono nella zona le testimonianze archeologiche, fra cui alcune ville rustiche in località Brecceto e Gerate-San Giuseppe le Prata.
Con la decadenza di Roma anche Veroli cambiò poco a poco fisionomia; la popolazione si ridusse e cominciò a convertirsi alla religione cristiana.
Secondo le leggende sacre, a Veroli approdò Santa Salome, madre di San Giacomo, e San Pietro organizzò la comunità cristiana locale. Ma, leggende a parte, solo a partire dal V secolo troviamo la stabile presenza di una forte comunità cristiana.
Intanto, le invasioni germaniche toccarono anche Veroli, ben fortificata entro la sua cinta “pelasgica”; in questi tempi la città si restrinse attorno al castello sommitale e al tempio pagano trasformato in chiesa cristiana; anche in questa area si finì per costruire un castello.
Posta com’era lungo una delle direttrici interne più importanti, Veroli ebbe un certo ruolo sia politico che militare che balzò alla luce con le successive incursioni dei saraceni del IX secolo che dopo l’anno 877 riuscirono a saccheggiarla. Veroli fu per diversi mesi il rifugio dell’imperatore Ludovico il Pio, sconfitto nel tentativo di conquistare l’Italia meridionale, eliminando il pericolo saraceno. L’anarchia seguita alla crisi dell’impero carolingio fece di Veroli uno dei capisaldi del ducato romano: qui si formò un potere autonomo racchiuso nelle mani dei conti di Campagna, residenti appunto in Veroli.
Veroli, fedele al papa
Dopo il Mille si nota una certa ingerenza vescovile nella gestione delle cose civili: in particolare fu soggetta a giurisdizione feudale del vescovo la zona di Villa San t’Angelo, ove questi aveva il suo castello. Alla Chiesa verolana erano poi soggetti quasi tutti i castra appartenenti alla diocesi. Alcuni di essi erano un vero e proprio possesso feudale che la Chiesa verolana concedeva a milites per sua parti colare difesa. Un periodo di sconvolgimenti è quello delle scorrerie dei normanni nel Lazio meridionale, durate fino alla loro affermazione nell’intera Italia del sud. Per due secoli aspre lotte insanguinarono la Campagna soprattutto per la politica papale di interposizione fra il regno del sud, già normanno e passato agli svevi, e l’impero germanico. In questi frangenti, Veroli svolse un ruolo preziosissimo a favore del papato poiché la città si trovava in una posizione strategica al confine con il regno del sud. Qui si rifugiarono spesso i papi e celebre rimase la lunga residenza che vi ebbe Alessandro III, che vi incontrò il rappresentante di Federico Barbarossa intavolando quelle trattative che condussero al pactum anagninum ed alla pace di Venezia. Il soggiorno verolano di Alessandro durò ben tre anni, nel corso dei quali tutta la corte pontificia si stabilì in città. In questo periodo il papa fece costruire un ospedale per i lebbrosi, fuori dell’abitato. Anche Lucio III si rifugiò a Veroli per la rivolta dei romani e Onorio III consacrò la nuova chiesa dei monaci cistercensi a Casamari. L’anno successivo ricevé Federico Il progettando con l’imperatore una nuova crociata. Ma il secolo XIII fu anche un periodo di vivaci lotte feudali in cui Veroli venne coinvolta dai potenti nobili campanili. I signori di Sonnino, non si sa bene per quale motivo, attaccarono Veroli, ma furono respinti e inseguiti da gli abitanti fino alla loro città, investita di slancio dalle milizie verolane.
Non erano del tutto sopite le controversie fra papato e impero, che cessarono solo, com’è noto, con l’avvento angioino sul trono napoletano. E la lotta si svolgeva principalmente in Campagna, corridoio naturale tra nord e sud d’Italia. La giurisdizione verolana fu più volte coinvolta nelle guerre e nelle scorrerie degli eserciti svevi, ma Veroli quasi mai ebbe a patire attacchi, i quali si rivolgevano verso le aree marginali del suo territorio (spesso si colpiva la ricca abbazia cistercense di Casamari) o i castelli appartenenti o sottoposti alla diocesi verolana. Nelle vicende del tempo, il municipio e gli uomini di Veroli parteciparono appieno ma sempre un po’ defilati, sempre presenti con le loro milizie, quasi sempre dalla parte del papato, nelle guerre e guerricciole, mai protagonisti primi delle grandi vicende storiche.
Il Trecento è segnato dal terremoto del 1350, che produsse notevoli danni (subito riparati) al patrimonio edilizio urbano. Gli anni di fine secolo vengono caratterizzati dallo scisma d’Occidente, a Veroli particolarmente avvertito per la presenza dei Caetani, potenti fautori dei papi scismatici. Veroli ebbe persino due vescovi che si contendevano la giurisdizione episcopale cittadina. Per un certo tempo si seguì l’antipapa e solo la sconfitta militare dei Caetani pose fine alla preponderanza degli scismatici.
Nel 1406 Veroli fu assediata dalle truppe del re di Napoli Ladislao di Durazzo; malgrado la tenace resistenza popolare, grazie all’uso delle artiglierie fino ad allora sconosciute ai verolani, i durazzeschi poterono entrare in città, distruggendo torri e mura. Il Quattrocento sembra essere il secolo della ripresa dello stato dei papi e di Veroli, che godette della protezione di Martino V. Il papa però concesse alla propria famiglia molti feudi, già appartenenti al dominio episcopale verolano o soggetti a signori dipendenti dal vescovo di Veroli.
Nel secolo XV i fatti più rilevanti della storia verolana furono l’apertura da parte di Giovanni da Capistrano di un convento francescano, la partecipazione delle milizie cittadine alla riconquista di Osimo, la presenza in città di papa Innocenzo VIII e poi quella di Carlo VIII, re di Francia, durante la marcia per la conquista del regno di Napoli. Fu in questa occasione che i verolani videro all’opera le micidiali artiglierie francesi contro il vicino castello di Monte San Giovanni Campano.
Alla metà del XVI secolo Veroli fu coinvolta nell’ultima guerra della sua storia più antica prima di quelle napoleoniche e del secondo conflitto mondiale Si tratta della guerra combattuta in questa provincia tra le forze spagnole e quelle dei seguaci dei principi Colonna da una parte, e i pontifici di Paolo IV dall’altra. Assediata, Veroli dovette soccombere e concedere l’ingresso alle truppe spagnole salvandosi dal saccheggio, pare, per intercessione di un canonico castigliano.
Il governo teocratico
Nel Cinquecento Veroli venne sottoposta al governo di cardinali, al pari delle altre più importanti città dello stato papale.
Qualcuno di questi legati, come il cardinale Quiflones, abitò stabilmente in Veroli ove si costruì una magnifica residenza nel quartiere di Santa Croce. Alla metà del secolo risale un’importante istituzione religiosa verolana: il monastero delle benedettine di clausura di Santa Maria dei Franconi. Verso la fine del secolo un episodio rese clamorosamente visibile il processo di cambiamento socio-politico in atto: un nobile di campagna, Pompeo Caetani, fece saltare in aria il palazzo del governatore cittadino. Il fatto di per sé stava a significare la ribellione al progressivo conculcamento dei privilegi signorili a vantaggio del potere ecclesiastico. Del resto il riordinamento della società civile e politica fu un tardivo processo a cui l’intera società verolana fu costretta dalla riorganizzazione dello stato pontificio e delle istituzioni ecclesiastiche. Questi processi furono contemporanei al riordinamento fondiario e alla fioritura del patrimonio edilizio civile. Questo cambiamento toccò tutta la città anche perché progressivamente ci fu un incremento della popolazione che, costruendo nuove case, colmò li spazi vuoti interni alla cinta muraria. E un periodo che va fino alla metà dell’Ottocento, allorché si ricostruirono tutte le chiese locali, si arricchirono gli edifici, si modellò definitivamente l’abitato del centro storico della città. Ma l’incremento demografico dette nuova vitalità anche a quei nuclei di popolazione che si andavano formando nel territorio comunale, proprio in questo periodo. Tra la fine del Seicento e l’inizio del Sette, ci fu una riorganizzazione, in senso restrittivo, dell’ordinamento politico cittadino con l’istituzione di un governo, praticamente demandato alle famiglie nobiliari. Alla fine del Settecento la tempesta rivoluzionaria partita dalla Francia toccò anche lo stato pontificio e, con la formazione della repubblica romana, anche le popolazioni laziali si trovarono di fronte alle novità portate dal giacobinismo. Parte dei verolani aderì alla repubblica: si trattava dei borghesi e della nobiltà locale vicina alle idee illuministe. La gran parte della popolazione fu invece violentemente contraria e lo dimostrò partecipando in massa alla ribellione antirepubblicana, durante la quale vennero orribilmente uccisi diversi esponenti del giacobinismo locale. Questi anni, fino alla restaurazione, furono caratterizzati da episodi bellici e da grandi novità politico-amministrative. I cambiamenti generarono una nuova situazione sociale e ulteriori disordini espressi da un brigantaggio che nei territori di Veroli trovò ricetto fra i pastori e gli abitanti dell’agro. La stessa situazione si ripropose dopo l’unificazione nazionale quando le montagne verolane dettero ricovero a molte bande di briganti del vicino Abruzzo, del Molise e dell’attuale basso Lazio. Fra questi si ricorda Luigi Alonzi, detto Chiavone, che di una frazione verolana fece il suo rifugio preferito e che sulle montagne del confine fu ucciso in un crudo regolamento di conti fra briganti. Intanto a Veroli, a causa delle nuove idee, si era venuto a formare un gruppo di patrioti, malgrado la dominante opinione filopapalina che si manifestò durante la visita del pontefice Pio IX nel 1863. I patrioti verolani parteciparono alla lotta per l’unità d’Italia. Uno di questi, Domenico Diamanti, ebbe un ruolo centrale neI 1848 e poi ancora nel 1867, durante lo sfortunato tentativo garibaldino.
Dopo l’unità nazionale
Il rinnovamento postunitario è associato a Veroli al nome di Giovanni Campanari il quale governò la città come sindaco per un lungo periodo riuscendo a far convivere la nuova Italia con l’ambiente fortemente clericale e antiunitario. Al periodo della sua amministrazione risalgono la costruzione di strade di collegamento fra l’isolata città con le maggiori vie di Comunicazione. Campanari creò le basi per il rifornimento idrico permanente, costruì scuole e, infine, dotò Veroli di luce elettrica, facendola diventare una delle prime città del Lazio illuminate con sistemi moderni.
I verolani parteciparono alla prima guerra mondiale con un notevole tributo di sangue. Nel dopoguerra lo scontro sociale e politico diventò fortissimo e anche a Veroli si formarono due gruppi contrapposti: i contadini e i proprietari terrieri. Poi vennero le vicende del ventennio fascista.
Nel secondo conflitto mondiale, Veroli fu sfiorato dagli eventi bellici, anche se nelle sue campagne, a Castelmassimo, era posto il comando delle retrovie germani che del fronte di Cassino. Eppure qualche danno al suo patrimonio monumentale la città dovette subirlo. Furono distrutte anche abitazioni.
Il dopoguerra fu segnato dalla crisi sociale ed economica che ebbe il suo sintomo nella grande emigrazione e nel progressivo abbandono del centro storico.
Le lotte per la terra a Veroli in questo secondo dopoguerra sono state molto intense, poiché era caduto in definitiva crisi il modello economico, espresso nel cosiddetto “patto colonico verolano”. Le cause della grande crisi che colse Veroli nell’immediato dopoguerra furono la sua sostanziale marginalità e l’inesistenza di un processo di adeguamento all’economia industriale dei nuovi tempi.
Oggi anche per il più generale progresso del paese, Veroli si presenta con un notevole sviluppo, oltre che del capoluogo, anche delle frazioni e delle contrade rurali, diventate fiorenti borghi.
Archeologia e arte
Ancora oggi Veroli presenta tre nuclei principali: la parte superiore che sale verso la Rocca di San Leucio, la zona mediana attorno alla piazza principale e la parte più bassa del rione Santa Croce. Un po’ dappertutto nel territorio verolano si trovano reperti delle antiche costruzioni. Oltre ai ritrovamenti dell’area della cattedrale sono state individuate vestigia di ville rustiche in diverse contrade: Antera, Brecceto, Colle Mercurio, Forca Fura, Gerate-San Giuseppe le Prata, Pagliaro Murato e Pozzo Favito. Un’altra zona ricca di reperti si è rivelata l’area dell’ex-città di Cereatae. In genere sono rimasti in luce alcuni filari di mura che sono di costruzione o resti di mura perimetrali di edifici e cisterne, accanto ai quali si sono trovati frammenti fittili, monete, lastre marmoree, spesso incise, ed iscrizioni.
La cinta muraria verolana è formata nella parte superiore, quella corrispondente all’acropoli, da una lunga muraglia, addossata al monte in modo da ricavarci un terrapieno, la tecnica di costruzione è del tipo poligonale e le zone occidentali, ove il terreno è impervio, non necessitano che di brevi tratti di mura. In seguito, sopra la cinta ernico-romana sono stati costruiti altri muri in epoca medioevale, fra cui la rocca di vetta, il triangolare torrione di San Leucio, e diverse torri poste lungo il circuito, oltre alle sopraelevazioni. Un altro sistema difensivo si nota nella lunga galleria della Porta Oscura: cinque feritoie con le nicchie per i soldati che con sentivano l’osservazione della sottostante erta. Lungo il circuito si aprivano diverse porte, oggi quasi tutte scomparse o conosciute solo per i toponimi. Una delle più imponenti e meglio conservate è la Porta di Santa Croce, vicina all’omonima chiesa: di aspetto medioevale, chiude al basso la cinta e immette nel borgo popolare omonimo; è formata da un arco a tutto sesto, sorretto da due scarpe laterali e l’interno rimane aperto per il crollo della camera del corpo di guardia. Un’altra porta ben conservata è quella chiamata Romana: si presenta come un imponente arco trionfale ricostruito nelle attuali forme dall’architetto Subleyras nel Settecento.
Le antiche decuriae dell’epoca romana furono continuate dalle scripatae medioevali e ancor oggi i rioni del centro storico di Veroli hanno una propria fisionomia. Dal vertice del monte Castellone si scende per il rione di San Leucio a cui seguono Sant’Angelo, Civerta e San Martino lungo le due strade di scollinamento principali: le case sono per lo più a un piano con orti. Mentre si scende in basso i rioni cambiano fisionomia poiché le abitazioni diventano a più piani, mano a mano che ci si avvia verso il nucleo centrale gli edifici diventano sempre più imponenti fino a mutare in eleganti palazzi signorili.
La Casa Reali, ove sono esposti i Fasti verolani, è caratteristica per l’ambientazione: un piccolo cortile con tettoia e scalinata esterna per salire al piano d’abitazione.
Da segnalare è il Palazzo Aliprandi; nei locali occupati oggi da un ristorante campeggiano gli affreschi di Federico Zuccari: si tratta di decine di scene raffiguranti quadri di vita, paesaggi, stemmi, diverse scene di caccia, figure ecc.
Una delle zone più importanti dell’antica Verulae è quella corrispondente all’a rea della piazza principale che era sorretta nell’antichità da mura poligonali e costituiva il foro. Qui sono stati trovati i Fasti verolani: un calendario incompleto di epoca romana, relativo solo ai primi tre mesi dell’anno e che fa conoscere la ripartizione del mese, i giorni fasti, i nefasti, quelli parzialmente favorevoli e quelli idonei alla convocazione dei comizi. Nel Palazzo comunale si conservano alcune iscrizioni trovate proprio in questa zona. L’area presenta gli edifici pubblici più importanti, come la cattedrale e il Palazzo comunale.
Le chiese
Le numerose chiese verolane conservano al loro interno quadri, affreschi e sculture di un certo rilievo. Scendendo dal colle, in ordine, troviamo i seguenti templi. In alto sorge la piccola Chiesa di San Leucio, risalente al IX secolo e formata da un edificio a una sola nave e due cappelle laterali, di epoca posteriore. Il portale romanico è sormontato da una lunetta con affresco che pare seicentesco, come lo sono parte di quelli interni che risalgono anche ai secoli XIII-XIV: si intravedono la Madonna e i Santi Barbara, Cosma e Damiano. L’unica navata presenta due cappelle laterali, anch’esse decorate da affreschi seicenteschi, l’una dedicata a Santa Salome, l’altra all’Addolorata. In fondo alla navata il presbiterio rialzato ha la zona dell’altare maggiore racchiuso dentro un arco trionfale. Qui le pitture rappresentano il Santo titolare assieme ad un corteo di altri santi venerati nell’antichissima chiesa parrocchiale. San Leucio conserva una tavola marmorea con la sua dedicazione, risalente al 1079. Davanti alla chiesa si apre una minuscola piazza.
Scendendo si trova la Chiesa di Sant’Angelo, dal pronao neoclassico costruito alla fine del Settecento quando l’edificio fu del tutto rimaneggiato. L’interno ha la pianta a croce latina ed è molto piccolo rispetto alla grande facciata. Sant’Erasmo si presenta con la sua facciata con loggia coperta. Oggi il portico si presenta alterato rispetto alle originarie linee architettoniche, come del resto anche l’interno che è stato profondamente rimaneggiato nel Cinquecento e nel Settecento; Sant’Erasmo mostra ancora la sua origine romanica nelle tre absidi, che appaiono in tutto il loro rilievo dalla strada per Alatri. La chiesa sarebbe stata fondata da San Benedetto durante il suo viaggio da Subiaco a Montecassino. Sicuramente fu un cenobio benedettino, passato poi ai canonici regolari e al clero secolare. Vi soggiornò Alessandro III durante il periodo in cui visse a Veroli. La chiesa ha mantenuto sempre la sua importanza nell’ambito cittadino. L’interno è a tre navate con absidi e transetto. Le absidi presentano lesene e colonnine chiuse in alto da archetti mentre la facciata è nascosta dal portico a tre archi a tutto sesto: uno di questi è cinquecentesco, gli altri del Duecento e hanno decorazioni a girali. La chiesa è affiancata dal monastero con le pareti in pietra scandite da monofore feritoie. All’interno opere del Cavallucci, di Sebastiano Conca, della scuola del Maratta. Si conservano anche un calice del XIV secolo e un encolpio bronzeo del secolo XI.
Al centro della città campeggia la Cattedrale di Sant’Andrea. Di antiche origini, sorge sopra il tempio principale dell’antica Verulae, è stata ricostruita più volte: un precedente edificio paleocristiano fu ampliato fino a raggiungere la forma basilicale a tre navate con un transetto, un’abside e una cripta. Prima del Seicento e poi nel corso del Sette, l’intero edificio è stato profondamente rimaneggiato eliminando la cripta e trasformando l’interno e la facciata secondo lo stile dell’epoca. I resti degli edifici preesistenti, marmi scolpiti, un ciborio e una croce cosmatesca, sono conservati mentre ancora il grande rosone medioevale campeggia sulla facciata che è stata ricostruita nel primo Settecento con mattoni e pietra locale. Le tre navi interne sono scandite da lesene e si è lasciato ampio spazio al grande e solenne portale e al rosone.
L’interno è in stile barocco, ricco di decorazioni pittoriche e di stucchi.
Parte dell’abside centrale è occupata da un grande coro ligneo del 1624. La cappella a destra dell’altare maggiore è stata destinata a raccogliere il vasto tesoro accumulatosi con i secoli nella cattedrale verolana: vi si conservano busti, calici, croci processionali, ostensori, reliquiari e urne. Quattro cassette per reliquie si distinguono per essere state costruite con lamine d’avorio inciso e dipinto; le decorazioni richiamano quelle islamiche palermitane del XII secolo o motivi classici. Esse provengono dall’oriente e sono presenti a Veroli sin dai secoli XII e XIII. Alcune delle opere conservate provengono dall’Abbazia di Casamari come i reliquiari fatti costruire dall’abate Giovanni nel secolo XIII. Fra le altre opere d’arte un polittico argenteo del Cinquecento e dipinti del Buccatti, una tela attribuita al Kuntze; altre pitture sono di diversi artisti del Sei-Settecento.
La Chiesa di Santa Salome, eretta sopra la ripida scarpata del lato occidentale cittadino, è una delle più care ai verolani poiché è dedicata alla santa protettrice della città, la madre dell’apostolo Giacomo, che avrebbe raggiunto Veroli dalla Palestina. Una prima chiesetta fu presto ingrandita nel Trecento per essere poi successivamente rimaneggiata e infine totalmente rifatta nel Sei-Settecento. Della chiesa gotica si conservano gli affreschi ed alcune strutture architettoniche. L’interno è a tre navate, con transetto ed abisidi che sono appunto state costruite sulla scarpata. In questa chiesa si conserva un ricco patrimonio artistico: affreschi dei secoli XIII e XIV, un trittico cinquecentesco di un anonimo spagnolo, una Santa Salome del Cavalier d’Arpino, e poi un quadro del Cavallucci, affreschi della cupola opera di Giacinto Brandi, altri affreschi del Frezzi, un Cristo e Santi attribuiti a Giuseppe Passeri, una tela del Solimena e un Cristo Re dello Scaccia Scarafoni. Un monumento funebre molto celebrato è quello della fanciulla Francesca Antonia Leni, eretto nel 1655. L’autore è ignoto. Sotto la chiesa c’è un oratorio con affreschi della metà del Duecento.
La Chiesa dell’Annunciazione o di Sant’Agostino è posta in un luogo cruciale e centrale della città, eppure è stata per molto tempo abbandonata dopo aver vissuto una storia gloriosa perché appartenente a un ospedale e al convento degli agostiniani. E stata rinnovata da artigiani ed artisti locali negli anni Venti e Trenta del ‘900; ha tele e affreschi nonché una ricca decorazione parietale. Un bell’organo degli inizi del Settecento si eleva sopra la cantoria affiancato da due tele del Sette-Ottocento.
Santa Maria dei Franconi è oggi una chiesa monastica, una volta era parrocchia di un vivace borgo posto alle spalle del centro della città. La facciata, pur rovinata, conserva notevoli elementi architettonici fra cui il bel portale architravato romanico affiancato da archetti posti sopra le sene. La parte superiore ha una finestra monofora con archi su mensole ed è chiusa da una serie di archetti posti sotto gli spioventi del tetto. L’interno è seicentesco e ha un affresco del 1674 raffigurante la Crocifissione con una veduta della città di Veroli. Altri affreschi dei secoli XVII e XVIII sono stati dipinti nelle cappelle. Al di sotto di questa chiesa sorge un antico oratorio con volte risalenti forse al secolo XI.
La Chiesa di San Paolo si presenta nella sua veste settecentesca mentre sulla facciata sono stati inseriti frammenti medioevali a ricordare l’antica precedente chiesa. L’interno ha la pianta a croce greca ed è sormontata da una cupola; vi si conservano diverse tele.
In fondo al centro storico è la Chiesa di Santa Croce, un edificio totalmente ricostruito prima alla fine dell’Ottocento e in fine in questo dopoguerra, anche se conserva il medioevale impianto basilicale a tre navate. Sulla facciata sono stati collocati diversi frammenti originali dei secoli XII-XIV, probabilmente provenienti dalla precedente chiesa.
La Madonna dell’Olivello è una suggestiva chiesetta settecentesca, posta in disparte, come in disparte è posta dall’altra parte della città San Martino, anch’essa di origini medioevali, di cui rimane solo il portale romanico, mentre tutta la chiesa si presenta nella sua veste settecentesca. Centro culturale sin dal Medioevo, Veroli ha visto fiorire, durante il Rinascimento, studi umanistici che hanno contribuito a consolidare una rigorosa tradizione cuIturale. A questo proposito vanno ricordati la scuola Franchi e il Seminario diocesano, uno dei più noti del Lazio. Oggi Veroli ha scuole di tutti gli ordini e gradi e raccoglie studenti della città e della zona. Un notevole ruolo culturale è assolto dalla Giovardiana, una delle più antiche biblioteche pubbliche d’Italia.
Come si è accennato poc’anzi, Veroli ha la maggior parte della sua popolazione sparsa nelle frazioni e nelle numerosissime contrade di campagna. L’allevamento in certe zone montane è ancora significativo: dagli ovini si è passati però agli equini e ai bovini. Ancora si pratica la transumanza invernale verso la terra pontina. Sulle montagne sono ancora ampi boschi di querce, castagni, faggi e frassini, già regno dei carbonai.
Sostanzialmente Veroli e il suo territorio dipendono dall’economia del capoluogo di provincia poiché una buona parte dei suoi abitanti lavora negli uffici e nelle fabbriche frusinati.
La nuova superstrada Frosinone-Sora ha dato a Veroli un rapido sbocco verso l’area frusinate, favorendo soprattutto le frazioni interne quali Scifelli e Santa Francesca.
L ‘Abbazia di Casamari
L‘Abbazia cistercense di Casamari, dedicata ai Santi Giovanni e Paolo, sorge all’interno del territorio verolano lungo la via Mària. La sua fondazione risale a un momento cruciale della Cristianità quando, intorno al Mille, si diffuse in molti la tendenza a vivere da eremiti o nei piccoli cenobi che sorgevano numerosi, lontani dai grandi centri, nelle zone montane più nascoste, scoscese e dirupate. Si conservano molti eremi medioevali e tardo-medioevali, tutti uniti da una via eremitarum, che si snoda in zone oggi del tutto spopolate e silvestri. Uno di questi piccoli cenobi fu fondato da quattro sacerdoti verolani sui ruderi dell’antica Cereatae, la patria di Caio Mario, com‘è attestato dai numerosi reperti archeologici ivi trovati, fra cui un’epigrafe con il cursus honorum del celebre console e condottiero romano-arpinate. Era una zona posta lungo la strada di collegamento con il sorano, e quindi in un ‘area non del tutto isolata, che però risulta ancor oggi marginale nell’ambito del districtus verolano. L’obiettivo dei sacerdoti fondatori era la creazione di un piccolo cenobio ispirato alla regola benedettina. Però il monastero crebbe notevolmente in capo a pochi decenni, grazie al fatto di essere stato costruito lungo una strada importante e in un ‘area che si andava densamente popolando. Dopo un periodo di fioritura, il cenobio conobbe un momento di rilassamento, conseguente alla prima crisi dei benedettini. La risposta alla crisi interna venne con l’introduzione dei cistercensi, già presenti nell’area pontina con il monastero di Fossanova. Qui, a Casamari, i cistercensi nel giro di qualche tempo ricostruirono la chiesa secondo il loro stile, creando in Italia un nuovo indirizzo architettonico. La nuova chiesa fu consacrata da Onorio III il 15 settembre 1217 di fronte a un numeroso popolo e alla cavalleria dei conti ceccanesi. L’abbazia ha ospitato più volte Federico II di Svevia, il cui cancelliere divenne appunto l’abate di Casamari.
L’istituzione diede vita a diverse filiazioni in Italia fino al declino dovuto all’allontanamento del papato dall’Italia nel Trecento. Ma il fatto che ha definitivamente segnato il tracollo è stata l’istituzione della commenda, eliminata solo dopo più di quattrocento anni. L ‘abbazia fu più volte investita da guerre e calamità.
All’inizio del Quattrocento, quando il capitano di ventura Jacopo Caldola vi si trincerò e l’abbazia venne espugnata da Muzio Attendolo Sforza, gli edifici furono pesantemente danneggiati. Altri saccheggi si ebbero nel 1799, da parte delle truppe francesi in ritirata da Napoli, con l’eccidio di sei frati e nel 1861, da parte dei piemontesi che incendiarono il monastero. Frattanto i cistercensi erano stati sostituiti dai trappisti, rimasti fin verso la fine del secolo XIX, quando i monaci tornarono all’antica osservanza cistercense. Da allora in poi l’Abbazia di Casamari ha goduto di un altro fondo periodo di espansione: ne sono derivati altri monasteri che hanno permesso la fondazione di una congregazione monastica propria. Casamani conta diverse decine di abitanti fra religiosi e conversi. E sede dell’abate della congregazione e svolge una intensa attività religiosa e spirituale. Inoltre ci sono una tipografia, una stazione metereologica, un ‘azienda agricola, una farmacia, una distilleria di liquori tratti da antiche ricette, una scuola e una ricchissima biblioteca.
L’abbazia forma un corpo compatto, posto al margine della vasta azienda agricola dei monaci, lungo la via Mària. Appare con la facciata della forestenia, già residenza degli abati commendatani, che prospetta sulla strada statale, sopra un grande androne chiuso da cancellate ed è caratterizzata da due grandi archi gotici, di cui il maggiore è veramente imponente. Oltre l’arco e l’androne c’è una grande corte su cui si affacciano la chiesa e uno degli edifici del monastero. La fronte della chiesa è seminascosta dal portico a tre arcate a sesto acuto sulla cui sommità si eleva la facciata vera e propria. All’interno del portico subito si è colpiti dai monumentali portali composti da archi a tutto tondo sorretti da semicolonne pensili. Le lunette sono decorate da motivi incisi nella pietra. L ‘interno è a pianta basilicale, ha tre navate con transelto e richiama nell’insieme l’architettura borgognona. Lo spazio è suddiviso secondo un ritmo ben articolato dai pilastri, da cui si alzano semicolonne terminanti in un gioco di nervature lapidee a vista. L ‘altare maggiore è coperto dal baldacchino settecentesco, unico elemento decorativo rimasto della chiesa barocca, sparita con i restauri degli ultimi cento anni. Dalla chiesa si accede al chiostro: quadrangolare, con una serie di finestre bifore, che giocano all’armoniosa suddivisione geometrica dello spazio. Al centro la vera della cisterna è il cardine di un sistema decorativo costruito spazialmente. Le quattro gallerie sono illuminate dalle bifore, le cui colonnine sono l’una diversa dall’altra. Alcuni capitelli raffigurano dei personaggi, fra cui Federico II, Pier delle Vigne e l’abate Giovanni V. Sul lato orientale del chiostro, si apre la sala capitolare, secondo l’Enlart una delle più belle d’Italia. Già il portale si presenta grandioso: ha due aperture divise da una colonna, è strombato e aggraziato da una losanga nella parte superiore. Ma è l’interno che denota la capacità architettonica acquisita dai cistercensi. Anche questa sala, ove si svolgevano le cerimonie più importanti della comunità monastica, si presenta a tre navate, scandite da una doppia serie di archi e pilastri posti a fascio che generano un complesso di nove campate armoniosamente costruite. Dai fasci si innalzano le nervature incrociate nella volta a formare vele e un intreccio di linee lapidee. La vetrata istoriata posta sul fondo è moderna, ma è in armonia con l’ambiente antico.
L‘abbazia è formata da altri tre grandi edifici, ove si aprono le celle monastiche, la biblioteca, la preziosa farmacia, il collegio e la scuola San Bernardo, la grande sala del refettorio: un immenso salone, già magazzino ed ora, da qualche decennio, adibito a refettorio della comunità; è suddiviso in sette campate da altrettanti grandiosi pilastri che sorreggono archi gotici.
Casamari conserva un importante patrimonio nel suo museo-lapidario, ove appunto hanno trovato ricetto i reperti degli scavi archeologici fatti sia nell’abbazia che nel territorio. Questi reperti sono numerosi e interessanti e testimoniano gli insediamenti della zona: si tratta di cippi, pavimenti, epigrafi, monete, vasi, anfore, decorazioni, marmi lavorati che vanno dall’età dei metalli all’alto Medioevo. Ma ci sono anche statue e due zanne fossili di elefante preistorico, trovate nel fiume Amaseno. In una zona a parte si conservano le numerose tele, già poste nella chiesa barocca e qui portate dopo i restauri. Si tratta di opere della scuola di Raffaello, di Annibale Carracci, del Serodine, del Sassoferrato, del Solimena, del Siciolante e di numerosi pittori dell’età moderna.