L’Età Moderna
L’Età Moderna
Giovanni della Rovere, successore di Leonardo, nel 1495 aderì ad una nuova Congiura dei Baroni, organizzata a favore del partito angioino e quindi rivolta contro Ferdinando II, che inviò allora contro i ribelli il Gran Capitano Consalvo de Cordova. Furono quindi espugnati i castelli di Isola e di Sora, che fu però accanitamente difesa dall’umanista guerriero Mario Equicola. L’unico dei Baroni, che riuscì a evitare la punizione del Re, fu proprio Giovanni della Rovere. Il suo successore, Francesco Maria il Vecchio, nel 1501 respinse un attacco contro Sora di Casare Borgia, ma dovette poi cedere nel 1516 a Ferdinando d’Avaios, che per ordine di Carlo V assediò la città, costringendola alla capitolazione.
Fu allora investito del ducato Guglielmo de Croy, in seguito al riavvicinamento avvenuto con il papa Clemente VIII, Carlo V nel 1533 reintegrava nel Ducato Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, al quale succedevano prima il Cardinale Giulio e poi suo fratello Francesco Maria.
Particolarmente ricca di notizie sulla città nella seconda metà del sec. XVI appare la “Descrizione dello Stato di Sora e suoi confini”, relazione compilata nel 1579 da un Officiale del Vescovado di Sora per il “nuovo duca” Giacomo Boncompagni.
Dopo una prima illustrazione geografica della città, lo scrivente accennava alla sua organizzazione amministrativa. A Sora risiedeva il Governatore generale, mentre ad Isola (alla quale apparteneva Castelluccio), Fontana ed Arce vi erano singoli capitani, le cui sentenze potevano essere appellate presso il Governatore. La rocca, sistemata su una montagna “molto aspera e tutta scoglio” era “assai forte di fabbrica e di sito ma mal tenuta” e non aveva in fondo niente a che fare con la città, apparendo la fortificazione e il centro urbano due cose divise e separate.
Nella Relazione si legge poi: “Il territorio di Sora è tutto piano e pieno di bellissimo arbori con viti che pare un giardino, con certe belle colline dintorno che lo riducono quasi in forma d’anfiteatro il diametro del quale può essere lungo circa due miglia e mezzo, di modo che è cosa bellissima da vedere. Passa per mezzo di questo territorio il fiume Liri, il qual discende dall’abbraccio per la val Sorana e bagna ancora una parte delle mura di questa città et li citadini si servono anco dell’acqua sua per bere. Questo è il fiume che corre per tutto lo stato e più a basso diventa Garigliano. La città di Sora non è fabbricata con grandi edifici ma più tosto rozamente… Ha strade strette, non lastricate e mal nette, ha puoche chiese e queste poverissime e mal ornate, ha bruttissime donne, ha medici, ha dottori, ha notari e molti altri citadini honorevoli, ma però tutti questi sono puochi rispetto all’alto numero de poveri e di gente roza che riempie la cità. Le donne per il più vanno scalze, credo per la grande carestia che ci è di scarpe. Li lavoratori delli terreni stanno drento, dove anco ritirano libr bestiami che causa tanta lordura per le strade. Ci sono poche botteghe d’orefici e quelle ci sono tristissime e gl’uomini poco industriosi, tanto che pare che nissuno si curi più di quello che gli basta per vivere poveramente…”
Come si vede, dalla Relazione si evidenzia per quest’epoca una situazione in cui le ombre prevalgono sulle luci.
Più incoraggiante vi appare il quadro economico generale. Si precisava infatti che Sora produceva vino in abbondanza, grano olio, legnami, carni di maiale (in particolare ottimi prosciutti), di vacca, di agnelli, di castrati e capretti, pollame e uova, pesce, canapa e candele.
La città aveva allora circa 3.500 abitanti e le famiglie più in vista erano quelle dei Carari, dei Mancini, dei Paladii e dei Ruggieri. La Relazione accennava infine alle mura “di fabrica antica e debole” e si chiudeva con un resoconto delle uscite e delle entrate della “comunità di Sora”, fra le quali spiccavano i 350 ducati ricavati per l’affitto dei pascoli e delle selve dei monti che giungevano sino ai confini con Veroli.
Il 5 dicembre 1580 il Ducato veniva venduto a Giacomo Boncompagni, figlio del pontefice Gregorio XIII. Nel 1590, la grossa e pericolosa banda di Marco Sciarra fu affrontata, nella campagna di Sora, da un esercito di 4.000 uomini e respinta verso l’Abruzzo.
Nella chiesa di S. Maria degli Angeli, attigua al Convento dei Padri Passionisti, si ammira un quadro di E Vanni, dipinto agli inizi del XVII secolo, che nella parte inferiore presenta la più antica raffigurazione di Sora, con la cinta muraria menata e le torri. Spiccano la chiesa di Santa Restituta con il campanile (così com’era prima del terremoto del 1654), i campanili di altre chiese, la torre del Palazzo Ducale, i ponti sul Liri.
Sempre agli inizi del sec. XVII è databile uno stucco con la rappresentazione prospettica di Sora. Vi si scorgono chiaramente i due ponti romani sul Liri: il ponte di Napoli con il Palazzo di Corte (ad una sua estremità) e quello di San Lorenzo. Intorno all’abitato, dalla chiesa di San Rocco alla Cattedrale, si svolgono le mura, con alcuni torrioni visibili. Nella zona centrale si vedono chiaramente la piazza di Santa Restituta e il monastero di Santa Chiara e meno bene la Cattedrale e la chiesa di Santa Restituta. Sui costoni del Colle di San Casto si arrampicano i due lunghi muri medievali, mentre sulla sommità si osservano il possente complesso della Rocca Sorella e sulla sinistra un’alta torre di forma quadrata.
Nel 1654 un disastroso terremoto colpì Sora, facendo crollare la chiesa di Santa Restituta, poi ricostruita con una sola navata.
Molto dettagliata appare la veduta di Sora incisa su rame dall’abate G.B. Pacichelli nei primi anni del secolo successivo. L’incisore, che ha volutamente trascurato l’edilizia popolare, ha messo invece in evidenza gli edifici ecclesiastici (Cattedrale, chiesa di S. Restituta, S. Spirito, S. Giovanni Battista, S. Bartolomeo, S. Antonio, S. Rocco, S. Maria delle Grazie, oltre al monastero di S. Chiara e a diverse chiese suburbane), gli edifici civili (Palazzo di Corte), le fortificazioni (mura difensive con diversi torrioni), la Rocca Sorella, i mulini ad acqua e i ponti sul Liri (di Napoli e di S. Lorenzo). In alto, a sinistra, si osserva il monastero dei Cappuccini (ora dei Padri Passionisti) con un ampio recinto.
Nel Cabreo del 1739, conservato a Roma, presso l’Archivio del Gran Maestro dell’Ordine di Malta, si osserva ancora una rappresentazione di Sora, che presenta un’impostazione spiccatamente paesaggistica, che la distingue dall’incisione del Pacichelli, ma rispetto a questa risulta più semplificata e meno precisa.
Fra i successori di Giacomo Boncompagni, ricordiamo Gregorio I, che cooperò per la fondazione del Collegio dei Gesuiti di Sora, Gregorio II Boncompagni Ludovisi, che istituì un censo di 1.300 ducati annui a favore del Monastero di Santa Chiara, Antonio Boncompagni, Gaetano e Antonio II, che governò sino al 1795, anno in cui il ducato passò al demanio regio.
Con l’occupazione francese del 1798-1799, si riacutizzò il fenomeno del brigantaggio e contro Gaetano Mammone e la sua banda i Francesi furono costretti ad intervenire con un esercito di 13.000 uomini. Nel 1806 ancora i Francesi dovettero fronteggiare i briganti, questa volta guidati da Michele Pezza, detto Fra’ Diavolo. Essi si accamparono dapprima a Isola e da qui raggiunsero Sora, che fu presa dopo brevi scontri.
Nello stesso anno, mentre era re Giuseppe Bonaparte, si aboliva la feudalità in Italia meridionale.
La più chiara immagine planimetrica della Sora degli inizi dell’800 ci viene fornita da una particolareggiata pianta topografica esistente a Napoli, nella Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele III (Sez. Manoscritti, coll. B 5, D 49) e riprodotta alcuni anni fa per iniziativa della Banca Popolare del Cassinate. Vi si scorge l’affollato tessuto urbano, con le numerose indicazioni riguardanti le chiese, i mulini, i proprietari di edifici, gli spazi verdi e con l’accurata individuazione delle mura ( con i torrioni), dei ponti, del Palazzo Ducale, delle strade e delle piazze.
Nel 1860, durante il periodo risorgimentale, mentre da una parte i patrioti, in Piazza Santa Rerstituta, proclamavano il Governo Provvisorio nel Distretto di Sora, sotto la dittattura di Giuseppe Garibaldi, dall’altra la reazione borbonica presentava quale suo rappresentante il brigante sorano Luigi Alonzi e la sua agguerrita banda.