La Civiltà Romana
La Civiltà Romana
La CIVILTÀ ROMANA, a Sant’Elia Fiumerapido, è vistosamente segnata dall’acque dotto di Valleluce, da tre ponti, da alcune iscrizioni, da reperti archeologici vari, presenti o rinvenuti in zona.
A Casinum si trascorreva una vita attiva, impegnata con l’amministrazione pubblica e privata, con il lavoro artigianale, con il commercio, l’agricoltura, l’edilizia, con il divertimento. Ma il tempo dell’otium i patrizi romani preferivano tra scorrerlo in ville sontuose, attorno a Casinum, situate in zone libere dalla caligine d’umidità del l’acquitrinoso territorio cassinese, in alture fresche, assolate, amene, ossigenate, irrorate di acque limpide e pure. Tali erano i siti in quella località che oggi indichiamo con i nomi di Valleluce, Casalucense, Vicenne, Salauca, Lago di Fulvio, Santa Maria Maggiore, Nocegrande. Inoltre, c’è da dire che, attraverso la valle santeliana del Rapido, passavano due importanti vie di comunicazione, una che si allacciava alla via Latina, passando nella fascia pedemontana di Cairo, l’altra che, da Atina, conduceva a Capua, passando per Sant’Elia Vecchio. Ne sono rimasti tre ponti.
Il PONTE ROMANO, che oggi si ammira monumentale, imponente, vetusto, con le sue pietre di travertino squadrate, opera d’arte ingegneristica ed architettonica, a fianco della vecchia strada statale Cassino-Atina presso il bivio per Sant’Elia, apparteneva alla via romana che si dirigeva a Casinum, valicando il Vinius, ossia il Rapido. Ha una sua storia particolare quel Ponte Romano. La costruzione risale al I secolo a.C.. Cominciò ad essere privato del corso del suo fiume già dal X secolo d.C., quando l’abate Aligerno progettò la deviazione delle acque del Rapido verso Ovest, per bonificare e mettere a coltura la campagna paludosa a valle di SantElia. La stessa cosa fu ripetuta dall’abate Bernardo IV Ferrajolo nel 1585. Nella prima metà nel 1800, all’epoca della costruzione della via Sferracavallo, fu ancora una volta ripetuta l’opera di bonifica della vallata acquitrinosa e il Rapido fu deviato di circa un chilometro, sempre verso Ovest. Contemporaneamente furono costruiti canali di drenaggio e di irrigazione, chiamati “lagni”, per cui il ponte si denominò Lagnaro. Dell’altra via romana, che da Atina portava a Capua, restano due ponti, uno nei pressi del Lago di Fulvio, sul rio di Acquanera, l’altro nel sito di Sant’Elia Vecchio. Sotto il primo ponte passa una ricca corrente d’acqua, fortunatamente ancora abbastanza limpida, acqua minerale, che fa leggermente nere le pietre dell’alveo, per cui il nome di Acquanera. La strada che lo valica reca il nome di Sferracavallo. Un toponimo sicuramente di antichissima provenienza: perché percorsa da “cavalli” o perché conduceva verso la “ferriera” di Atina e comunque verso la zona mineraria del “ferro” alle falde del Monte Meta? E’ anche possibile che nei dintorni, tra Lago di Fulvio, Salauca, Viridario, poi chiamato Vicenne, fosse ubicata la VILLA di FULVIA, appartenente alla famosa e benemerita Gens Fulvia. Dice Marco Lanni che i “Una quantità di monete d’oro, un gran pezzo di mosaico, un frammento di pietra, in cui si legge va chiaramente: Fulvia.. . filiopientissimo e tanti rottami, ivi rinvenuti, e dissipati per cieca ignoranza, sgombravano ogni dubbio intorno all’esistenza della villa”. Lo stesso autore ipotizza che nella predetta Villa pervenisse anche un ramo dell’Acquedotto Romano di Valleluce, a recare le sue pregiate acque per gli usi non solo domestici ma anche ornamentali, con i giochi dei suoi balzi e l’amenità prodotta, tanto da lasciare al sito il nome di Viridarium.
Sotto l’altro ponte scorrono oggi acque luride provenienti dalle fogne del paese, che deturpano ulteriormente quel sito storico, ove pur affiorano dalla campagna ancora tratti di mura, riferibili al primitivo insediamento di Sant’Elia Vecchio.
Già il citato Marco Lanni subì il fascino delle orme romane in territorio santeliano: “Non vi ha monumento di sorta onde apparisca, che nel terrimento di S. Elia sia vistata città, vico, o pago prima dell’invasione dei Barbari; una è cosa certa, che sia stato abitato. Lo addimostrano i sepolcri, che rinvengonsi in tanti siti, e più d’ogni altro una fornace di vasellini, che gli antichi Romani ave vano per costume riporre nei tumoli, scoverta non ha guari in contrada Nocegrande, ove si può vedere tuttora un canale di piombo fatto con lamine rivolte in su e saldate, per la chiara sorgente, che vi abbellisce un giardino di agrumi, di tanta antichità, ch’è quasi intieramente ossidato”… ‘Vi sono state trovate ancora alcune patere ed alcune patelle dentro sepolcri di mattoni, idoletti e monete.”… “Tutte queste cose provano, che la contrada Sant’Elia a tempo de’ Romani sia stata disseminata di ville, le quali erano circondate da immensi giardini, in cui i sontuosi padroni, volendo riunire tutte le bellezze della natura, a forza d’arte ragunavano e mari, e monti, e fiumi, e villaggi, e campi, e foreste’. Nei pressi di Villa Fulvia, in contrada Salauca, fu rinvenuta la seguente epigrafe: D.M.C. FUTIO C.F. SUCCISSO VIXIT ANNIS XVI. ME. 1111 VIBULIIA.AMIXN DA MATER FILIO PIENTISSIMO. Così decodifica Marco Lanni: Dis Manibus. Cajo Futio Caj filio Succisso, vixit annis sexdecim, mensibus qua ttuor, Vibulea Aminda materfihio pientissimo. Si tratta, evidentemente, di una epigrafe sepolcrale posta da Vibulea Amianda a ricordo del figlio Caio Furio Succisso di Caio, morto a sedici anni e quattro mesi. L’età dell’epigrafe è molto posteriore ad Augusto Imperatore.
Una VILLA POMPONIA, appartenente alla Gens Pomponia, di origine sabina, doveva essere in località Valleluce, come testimoniato da alcuni importanti indizi archeologici: due tronchi di colonna granitica, di cui uno cementato nel muro di un’abitazione nei pressi del diruto monastero di San Nilo, e un altro giacente lì dappresso; due colonne utilizzate nell’arco dell’abside centrale della chiesa di San Michele Arcangelo. “… AEA P POMPONIV PROBA” ed altre lettere, non definitivamente interpretate, costituiscono l’epigrafe mutila, su lastra marmorea, cementata in un muro di via Cifalco a Valleluce. Si tratta di pietra appartenente ad un monumento sepolcrale fatto erigere da P. Pomponio, secondo l’interpretazione di Marco Lanni? O, come è stata letta ultimamente, dobbiamo intendere che si tratta di una epigrafe riferita all’acquedotto romano e ad un probabile edile di nome Pomponio? In questo caso avremmo la seguente lettura: “K(CAESA) MAEA (NDRI) P. POMPONIU(S) PROBA (VIT)” e significherebbe che ‘P. Pomponio collaudò gli scavi dell’acquedotto”.
Una VILLA di PRECILIO ZOTICO doveva essere a Casalucense, nella amenissima zona che attualmente è attorno alla chiesa e convento della Madonna delle Grazie. Sono state visibili, fino a qualche anno addietro, due tombe romane, appartenenti rispettivamente a Precilio Zotico e alla di lui consorte. Era stata innestata una tradizione cattolica sulla presenza delle due tombe pagane: la seconda domenica di Pasqua esse venivano riempite d’acqua in cui, immergendo i piedi, i fedeli ottenevano indulgenza. La chiesa di Casalucense è dedicata alla Madonna delle Grazie o delle Indulgenze ed ha avuto nel passato privilegi per l’erogazione delle indulgenze. Attualmente, unici reperti archeologici della presunta Villa di Precilio Zotico sono un rocchio di colonna scanalata e alcuni blocchi di pietra, di cui uno con cornice, giacenti nello spiazzo erboso antistante il convento di Casalucense.
La scritta epigrafica latina più suggestiva di Sant’Elia, sinteticamente identificata con l’eponimo di NVMPHIS AETERNIS, si trova a Casalucense, a monte dell’omonima chiesa-santuario. Sono veramente eterne quelle Ninfe! E tutto sa di eterno intorno al loro simulacro: il bosco viridescente, le rocce che di tanto in tanto spuntano dalla vegetazione, le pietre delle disseminate mura poligonali degli antichi Etruschi o Sanniti, il senso mistico della religione che impose la scrittura sacra su quella roccia allo stesso modo che impose in quei dipressi un’ara sacrificale pagana e il simulacro della Vergine delle Grazie.
Un’Ara Sacrificale pagana potrebbe essere quell’enorme macigno calcareo, lungo l’antica via acciottolata che passa vicino la Chiesa di Casalucense e va ad Atina, ormai intransitabile perché non più praticata. Un masso informe, con la superficie superiore spianata, su cui è inciso un cerchio, del diametro di centimetri 207 e il centro segnato da un “ombelico”. A fianco scorre un sottile torrentello. La vegetazione intorno è lussureggiante. Un’ara sacrificale è probabile, in una zona idonea al culto pagano delle ninfe. Altrimenti che cos’altro potrebbe significare quel grande cerchio inciso sulla viva pietra? Un’opera incompiuta? Un indicatore astronomico? E’ proprio difficile crederlo. L’interpretazione dell’ara sacrificale resta la più probabile, la più attinente.
Ma torniamo all’Epigrafe di Casalucense, riportandola per intero: NVMPHIS AETERNIS SACRUM TI. CL. PRAEC. LIGAR. MAGO NIANVS PER PRAECILIVM ZOTICVM PATREM AQVA INDUXIT. Dovrebbe completarsi così: Nimphis aeternis sacrum. Tiberio Claudio. Praeconius Ligarius Magonianus per Praecilium Zoticum patrem aquam induxit. Così la probabile traduzione: “Luogo sacro alle ninfe eterne. Sotto Tiberio Claudio. Precilio Ligario Magoniano condusse l’acqua attraverso i poderi del padre Precilio Zotico”. Si tratta, evidentemente, di una lapide riferita all’acquedotto romano di Valleluce, che passa a circa cento metri a monte della stessa lapide. La datazione è del I secolo dopo Cristo. L’interpretazione resta varia. Si può ritenere che Precilio Ligario Magoniano, responsabile dell’acquedotto romano di Valleluce, fosse figlio di Precilio Ligario Zotico, che aveva consentito il passaggio dell’acquedotto attraverso i suoi poderi, a poco più di cento metri a monte della sua Villa a Casalucense.
Altra probabile villa romana, o tempio, poteva essere a Santa Maria Maggiore, nel sito attorno all’attuale chiesa. Ne è cospicuo indizio il tratto di cornice in marmo qui rinvenuto e attualmente esposto all’ingresso del Municipio a Sant’Elia. Si tratta di un reperto artistico prezioso, appartenente ad una unità architettonica importante.