Chiese e Santuari

Roccasecca

Le Chiese e Santuari

La Chiesa di San Tommaso a Castello

La Chiesa di San Tommaso a Castello è tra i monumenti più rappresentativi di Roccasecca, sintesi mirabile di cultura, storia, arte, religione.

Essa risale al XIV secolo. La sua costruzione avvenne intorno al 1323, anno della canonizzazione di San Tommaso d’Aquino. Fu da allora e per tale evento che, nel mondo, si incominciarono a dedicare chiese a San Tommaso e Roccasecca ne diede per prima l’esempio. Peraltro, già dalla morte del Santo, 7 marzo 1274, Roccasecca ebbe una forte accelerazione nella vita culturale, religiosa, civile, soprattutto per la fama del Dottore Angelico.

La Chiesa di San Tommaso è ubicata sul monte Granaro, a metà percorso tra il Borgo Medievale e il Castello di Roccasecca, in sito elevato e molto evidente, da essere visto in tutta la Media Valle del Liri. Si presenta architettonicamente importante, dalle linee eleganti e pulite in stile romanico con rimaneggiamenti seguiti alle varie distruzioni, di cui la più pesante forse quella bellica del 1943/44. L’ultimo restauro è quello dalle forme attuali, ultimato nel 1980. Nel 1478, a fianco della Chiesa fu costruito il summenzionato convento domenicano, per volontà di Beatrice Caetani e di Antonella d’Aquino. Il fatto sta a sottolineare la devozione di Roccasecca verso il suo figlio, San Tommaso, dell’ordine, appunto, dei domenicani. E sta anche a significare, in qualche modo, la cittadinanza roccaseccana del Santo dei Conti d’Aquino, se una discendente della stessa famiglia elesse quel luogo per onorare i domenicani nel nome di San Tommaso. In seguito la stessa Chiesa fu con segnata ai frati del convento. L’interno della Chiesa di San Tommaso si presenta a navata unica con pavimento a due piani sfalsati e separati da un ampio arco. Nelle pareti è stato rifatto l’intonaco, lasciando scoperti alcuni tratti degli antichi affreschi. Sul fondo sono ricavati l’abside centrale, una piccola abside al lato sinistro e una nicchia al lato destro, in cui è esposto un busto ligneo di San Tommaso del 1633. Il soffitto è realizzato in legno con capriata a vista. Lungo le pareti sono esposti riquadri di preziosi affreschi, provenienti dalla diruta Chiesa di San Pietro a Campea.

La Chiesa dell’ Annunziata a Castello

La Chiesa dell’Annunziata a Castello si presenta, oggi, in ottimo stato di conservazione, col suo imponente ricco stile barocco. La facciata, dalle linee simmetriche, è segnata da quattro false colonne in altorilievo, intersecate da un aggettante cornicione orizzontale, su cui s’innalza un frontale arricchito di motivi ornamentali. Sulla sommità delle colonne centrali sono collocate le statue di san Tommaso d’Aquino, a destra, e di San Pietro Martire patrono di Roccasecca, a sinistra. Il sagrato è sopraelevato e recinto da balconata in ferro battuto, a cui si accede per un’agevole scalinata, che costituisce importante elemento architettonico dell’insieme paesistico, includente la strada che discende col suo pavimento a ciottoli e i gradini in pietra tipicamente medievali. Il campanile, a quattro piani, sostiene tre campane, di cui una del peso di 250 chilogrammi. La pianta della chiesa è a croce latina. L’architettura interna è di chiaro stile barocco, con tre navate, una cupola dall’ampio respiro, l’abside con fregiato coro ligneo, la cantoria con organo, le arcate a tutto sesto, le ricche decorazioni a stucco. Il tutto è reso misuratamente festoso, da un tripudio di colori ben armonizzati, giochi di luce, affreschi, ornamenti vari. Elegante e prezioso il pulpito di noce. Sia il coro che il pulpito sono attribuiti ad artigiani locali del Quattrocento. Pregiate tele arricchiscono l’arredamento e l’architettura della Chiesa. Molto importante è il quadro centrale, nell’abside, opera del pittore napoletano Francesco De Mura, allievo di Francesco Solimena. Il dipinto è realizzato in olio su tela e misura cm. 270 per 220. E’ del 1754. Rappresenta Maria Santissima Annunziata: Maria riceve l’annuncio dall’angelo, secondo cui sarà Madre di Dio e pronuncia il suo Fiat. Il disegno è di grande effetto cromatico, in un gioco sapiente di luci palpitanti composte in armonica unità. Altro olio su tela, di centimetri 247 per 194, rappresenta la Pietà ed è copia del celebre quadro di Sebastiano del Piombo. L’olio è del 1700, opera di ignoto artista napoletano. L’altro olio, raffigurante l’Ultima Cena, è copia dell’opera di Paolo Veronese, ma ha una sua originalità nel gioco delle posture e dei movimenti.

La Chiesa dell’Annunziata è la “matrice”, cioè la chiesa madre di Roccasecca, dal 1579, anno in cui il vescovo Filonardi istituì la Parrocchia dell’Annunziata. La Chiesa, per quanto concerne la parte di costruzione primitiva, si può far risalire al 1400. La troviamo citata in un testamento di Beatrice Caetani del 1488. Verso la metà del 1700 i cittadini di Roccasecca vivevano armi di benessere economico e potettero permettersi la demolizione delle principali chiese del paese per ricostruirle più splendide e sontuose. Così fu per la Chiesa dell’Annunziata che, abbattuta, nel 1750 fu consegnata per la riedificazione all’architetto di Arpino Pacifico Mastroianni.

Nella Chiesa dell’Annunziata è venerato San Pietro Martire, patrono di Roccasecca. Era frate domenicano, come San Tommaso d’Aquino e come San Tommaso fu difensore della dottrina della Chiesa, soprattutto per mezzo della predicazione. Operò a Bologna, a Firenze, a Milano. Fu inviato con l’odioso compito di inquisitore in Lombardia, dove fu ucciso da un eretico, con un colpo di spada sulla testa. Con il sangue del suo martirio, morente, scrisse la parola “credo”. Il domenicano Pietro da Verona fu canonizzato nel 1253 e i Roccaseccani gli promisero di eleggerlo loro protettore se, per sua intercessione, anche il fratello Tommaso d’Aquino fosse stato canonizzato. Ciò avvenne nel 1323.

La Chiesa di Santa Margherita

E’ l’attuale chiesa parrocchiale di Roccasecca Centro Urbano, l’antica frazione di “Valle”. E’ stata riedificata nella seconda metà del 1700, secondo il contratto stipulato nel 1760 con l’archi tetto Domenico Simonetti, a spesa ripartita tra le confraternite , il vescovo e il Comune. Si era in quel periodo di particolare benessere per i cittadini di Roccasecca, specialmente per la borghesia, che indusse a demolire le chiese preesistenti e a ricostruirle più grandi e più sontuose. Già esisteva un’antica chiesa di Santa Margherita, ad una sola navata, di cui si fa menzione in un documento del 1600. Di questa precedente chiesa fu salvato solo il campanile, la cui erezione era iniziata nel 1632.

La Chiesa di Santa Margherita è in stile barocco, contenuto ed elegante. La facciata è sobria ed articolata in tre corpi distinti, ma ben armonizzati, in unica struttura architettonica. A destra di chi guarda si innalza la torre campanaria, su quattro piani terminanti con orologio e balaustra svettante. Il corpo centrale, in corrispondenza della navata mediana, ha una superficie concava con tenuta da due finte colonne ad altorilievo con angolazione aperta e con effetto visivo nel verso della verticalità. Il terzo corpo è simmetrico alla torre campanaria fino a tutto il primo piano. L’architettura interna presenta tre navate, un’ampia cupola, ricchi ed eleganti stucchi di ornamento, giochi di archi a tutto sesto, rivestimenti in marmi policromi. La bella cupola è stata affrescata da Notari, dopo gli ultimi restauri del dopo guerra.

La Chiesa della Madonna delle Grazie a Caprile

E’ la chiesa parrocchiale di Caprile ed è opera artistica ed architettonica di considerevole rilievo. Risale al 1300. La facciata anteriore si presenta in sobrio stile romanico. A sorpresa, l’interno è elaborato in stile barocco, con i suoi fregi, i capitelli vistosi, i cornicioni marcati, i rosoni, le dorature, le finte colonne scanalate. L’effetto d’insieme è peraltro solenne, armonico e contenuto. Chiaramente, l’elaborazione interna fa parte di rifacimenti successivi alla originaria struttura trecentesca.

Una prima ristrutturazione è del 1759, quando, a Roccasecca, furono riedificate, in stile barocco, anche le chiese dell’Annunziata a Castello e di Santa Margherita a Valle. La primitiva fattura interna doveva essere in stile romanico con le pareti affrescate, come si nota in alcuni intonaci ricoperti. In un tratto di tale intonaco appare una pittura raffigurante San Sebastiano, San Rocco e San Tommaso d’Aquino. L’affresco è databile tra il XV e il XVI secolo. Il mosaico a vetro policromo del finestrone sovrastante l’abside, del 1974, è dell’artista Mellini da Firenze e raffigura San Tommaso in adorazione. I dipinti più importanti sono il quadro della Visitazione e l’olio su legno raffigurante la Madonna del Rosario con i quindici “misteri”in altrettanti riquadri perimetrali. I due dipinti, precedentemente attribuiti alla Scuola Napoletana dei Santafede, sono ritenuti, invece, da Roberto Cannatà, di Marco Mazzaroppi. Nella Chiesa si conserva la prestigiosa e venerata statua della Madonna del Rosario, del 1500. Fanno parte del complesso architettonico della chiesa due torri, una con orologio e una con la campana. Nella parete laterale esterna, prospiciente via Vittorio Tempesta, si ammira un dipinto a tutto campo, del 1646, raffigurante San Cristoforo. Nella lunetta esterna sovrastante la porta principale è affrescata una Madonna col Bambino, del 1400.

La Chiesa di San Francesco

Sulla via che dal Centro urbano di Roccasecca conduce a Colle San Magno, in località Moscellara, s’incontra la Chiesa di San Francesco, chiusa al culto, monumentale e imponente per la sua architettura. E’ evidente lo stile barocco della facciata, che si sviluppa in senso verticale, con finte colonne laterali, un portale in marmo con motivi ornamentali sormontato da frontoncino operato in ricco bassorilievo con ovale. La facciata termina con frontone fratto. Il tutto in muratura a nudo. L’interno si presenta in sfarzoso trionfante barocco. Unica navata con altari laterali incassati. Sono in corso opportuni auspicati lavori di restauro. Appartengono alla chiesa due dipinti di Marco Mazzaroppi, l’Immacolata tra i Santi Francesco e Bonaventura e l’Allegoria Francescana.

A fianco della chiesa c’è una costruzione, attualmente occupata da un centro di assistenza sanitaria, che anticamente era un convento. Si notano artistiche bifore in travertino vistosamente scolpito.

Dirute Chiese di san Pietro a Campea e San Vito sul Melfa

Si tratta di due chiese medievali che ebbero una loro importanza, tanto che adiacenti ad esse sorsero due piccoli conventi benedettini. Ambedue le chiese sorsero sui resti di antiche costruzioni romane, la Villa di Giovenale a Campea e forse un santuario pagano a San Vito.

Della chiesa di San Pietro a Campea, oggi, restano poche mura in piedi e il pavimento ricoperto di macerie. Un ciuffo di edera cerca di rendere meno macabro lo spettacolo di distruzione bellica e di incuria civica. La posizione topogeografica è meravigliosa, su balze erbose spalleggiate dal verde intenso di una vasta zona boscosa, ad altitudine collinare dominante la piana di Roccasecca e di Aquino e l’intera Media Valle del Liri. Ben si adattavano, su questa posizione, una villa romana, un tempio cristiano e un convento benedettino.

La villa romana di Giunio Decimo Giovenale sorgeva lungo quella fascia pedemontana, a monte della via Latina, in cui molti patrizi romani amavano risiedere per godere i propri hotia, come Quinto Cicerone ad Arcanuin, cioè Arce, e la gens equitia ad Euchelia, cioè a Palazzolo di Castrocielo. Nel Settecento, sul posto della villa, venne ritrovata una iscrizione di Giovenale, che ce ne garantisce l’esistenza e l’ubicazione. Oggi si notano pochi resti di mura di contenimento. Qui era il regno di Cerere e Diana per Giovenale. In realtà era posto molto favorevole per l’agricoltura, protetta dalla dea Cerere, e, per la caccia, protetta da Diana. E così è rimasto, per sempre fino a noi, quel luogo in cui prosperano il frumento, l’ulivo e la vite e in cui abbonda la selvaggina. I cacciatori ci vanno ancora per tordi, beccacce, cinghiali e lepri. La villa di Giovenale a Campea si fa risalire al I secolo dopo Cristo. L’epigrafe è riportata dal Mommsen, nel suo Corpus inscriptionum latinarum. Nella prima parte dell’epigrafe, andata perduta, si poteva leggere: Cereri sacrum D. Iunius luvenalis trib. coh. Delmatarum lI quinq. Flamen Divi Vespasiani vovit dedicavitque sua pec. E cioè: Decimo Giunio Giovenale, tribuno della coorte dalmata, duonviro quinquenrìale, sacerdote del divino Vespasiano, consacrò e dedicò questo luogo sacro a Cerere, a proprie spese.

Del convento di San Pietro si parla nelle Rationes decimarum Italiae. La data di costruzione può essere collocata nell’anno mille. Nel secolo XIV il convento si trova menzionato per i tributi che doveva all’Abbazia di Montecassino e per implicazioni di donazioni e vendita da parte di Giovanni de Apia da Castro Cielo e di Suor Gemma badessa del convento di Santa Maria a Palazzolo. Il convento fu soppresso da papa Clemente VIII nel 1605. Migliore sorte è toccata all’annessa chiesa, in cui la gente del posto è andata a messa fino alla seconda guerra mondiale, che causò il crollo del tetto.

La Chiesa di San Pietro a Campea era impreziosita da affreschi, di cui si conservano tratti nella Chiesa di San Tommaso a Castello. Tra le pitture salvate possiamo ammirare la figura di San Pietro con aureola e chiavi, San Michele Arcangelo con la bilancia su cui è posta un’anima da sottoporre a giudizio, altri santi e devoti donatori, un San Giovanni Battista e un Cristo. Le pitture rivelano nell’autore un artista abbastanza raffinato e colto, in qualche modo influenzato dall’arte bizantina. Vanno riportate al periodo della cultura benedettina che fiorì sotto l’abate Desiderio, nella seconda metà dell’XI secolo.

La Chiesa di san Vito sul Melfa si trova nella campagna di Roccasecca, lì dove oggi l’Autostrada del Sole attraversa il Melfa su gran di piloni di cemento e dove c’era un ponte romano, di cui si possono osservare i resti ancora oggi. Sul sito forse c’era un tempio pagano, in epoca romana. L’esistenza della chiesa è attestata da due donazioni, una del 1042 e l’altra del 1046. Il convento annesso fu abbandonato nel 1270, mentre la chiesa continuava ad essere aperta al culto e, nel 1595, fu assegnata alla mensa vescovile di Aquino.

Oggi la Chiesa di San Vito è in abbandono, ma meriterebbe di essere bonificata e restaurata, se non altro come deposito del materiale archeologico sparso nella zona.

I Santuari di Sant’Angelo a Caprile e dello Spirito santo sul Melfa

Sono rimasti vivi nella tradizione, aperti al culto e molto frequentati dalla devozione popolare i due santuari di Sant’Angelo a Caprile e dello Spirito Santo sul Melfa, meta ogni anno di fedeli del posto e dei comuni limitrofi.

Sant’Angelo, o San Michele Arcangelo, è situato sulla estrema costa orientale di Monte Asprano, al di sotto del Castello di Roccasecca, nella frazione di Caprile. Si raggiunge salendo da Caprile, attraverso un sentiero erto, sulla strada medievale dell’antica Caprile di cui restano muri elevati che rendono molto caratteristico, d’altri tempi, l’intero tratto paesaggistico: scheletri di Medioevo tra secolari ulivi sempreverdi, ciuffi di stramba, esotici fichi d’india e agavi inaccessibili. A proposito di quegli ulivi secolari, sparsi un po’ dovunque per il monte: a chi abbia letto nei Regesti (registri) di Bernardo, abate di Montecassino, del 1270, che “iuxta ecclesiam Sancti Michi (presso la chiesa di San Michele) c’erano “pedes olivarum” (piante di ulivo), fa un certo effetto di mistero accedere oggi, dopo tanto tra scorrere di secoli, a quella stessa chiesa di san Michele e ritrovare ancora ulivi, degli stessi ceppi di allora, fare la guardia al santuario e a quelle dirute costruzioni, quasi a dire che ci sono cose e valori che resistono ad ogni distruzione degli uomini e del tempo impietosi.

Al di sotto di un orrido scoscendimento, nell’incavo di una grotta rocciosa, s’incontra una costruzione in cemento armato che nasconde in parte e protegge l’antico santuario di sant’Angelo in Asprano: una chiesetta dall’umile primitiva architettura, che però sorprende al suo interno per la presenza di alcuni affreschi. Si tratta di una costruzione addirittura anteriore alla nascita del Castello di Roccasecca e risalente all’antico culto dell’Arcangelo, venerato già dai Longobardi, i quali erano particolarmente devoti a questo Santo da dedicargli svariati santuari, tra cui quel lo più famoso al Gargano. La chiesa di Sant’Angelo in Asprano esisteva già nel 991, mentre la costruzione del Castello di Mansone iniziò nel 994. Gli affreschi hanno uno stile bizantino-benedettino. Nell’abside figura la dominante figura di Cristo Pantocratore nell’atteggiamento tipico della benedizione e nella classica mandorla, che è propria di simili rappresentazioni, sostenuta da angeli in voli vorticosi di grande effetto cinetico. Al di sotto c’è la Vergine Maria in orazione. A destra di chi guarda ci sono sei apostoli. A sinistra altri apostoli di cui si vedono solo tratti drappeggianti delle tuniche. Entrando nella chiesa, nella parete di sinistra, c’è la figura di San Michele, che denota uno stile posteriore rispetto a quello bizantineggiante dell’abside. Nella parete di destra, invece, sono stati prelevati affreschi più antichi, con un Cristo in abito longobardo, conservati nella più idonea sede della Madonna delle Grazie a Caprile. Si tratta di una Crocefissione particolare e rara: il Cristo Crocifisso è vestito; Longino, il soldato che squarciò il costato di Cristo e poi si convertì, non ha in mano la lancia ma una fune e inoltre calza le nostre tipiche cioce, il che fa pensare ad un artista locale.

Il santuario rupestre dello Spirito Santo, detto anche della Santissima Trinità, si trova abbarbicato sul pendio scosceso del monte San Nicola, dominante a picco sul Melfa, all’inizio della gola del cosiddetto “Tracciolino”, l’antica strada borbonica che conduceva alle fonderie d’Atina. Si tratta di una piccola costruzione, una chiesetta con romitorio, accessibile tramite un roccioso sentiero inerpicante che inizia dal ponte romano sul Melfa. E’ stata tradizione andare allo Spirito Santo il lunedì di Pasqua. Si andava da tutti i paesi della Ciociaria. Da qualche tempo la festività è stata riportata secondo il calendario liturgico, al giorno della Pentecoste, festa dello Spirito Santo e della Santissima Trinità.