Collepardo
Provincia di Frosinone, abitanti 841, superficie Kmq 25,07, altitudine m.581
Abitanti: Collepardesi
Festa patronale: Santissimo Salvatore
Frazioni e Località: Civita, Trisulti
Comuni limitrofi: Alatri, Veroli, Vico nel Lazio
Distanza da Frosinone Km. 20
Autostrada: A1 Frosinone
La storia
Collepardo si trova nella parte orientale della provincia di Frosinone e per arrivarci si sale ancora su una strada che si snoda lungo una vallata “romantica e selvaggia”, come la definì lo storico Gregorovius.
Il nome è dovuto alla probabile presenza sull’altura di animali selvatici, forse gatti o lincì, e la sua storia comincia nelle epoche più antiche della protostoria, quando gli ernici abitarono i monti omonimi. Secondo un’antica leggenda, il paese venne fondato da alatrensi, fuggiti a causa delle invasioni barbariche sul colle che dava maggiore sicurezza. Nel territorio circostante furono edificati ben tre insediamenti in posizione difensiva: lo scomparso Castello di Trisulti posto nelle vicinanze della certosa omonima e distrutto dai Colonna intorno all’anno 1300, la Civìta (frazione montana ancor oggi abitata), e Collepardo. Gli abitanti del paese conobbero San Domenico da Foligno, a cui donarono il grande bosco d’Ecio, entro il quale il monaco benedettino fondò un monastero.
Per tutto il Medioevo Collepardo dovette subire le mire espansionistiche di Alatri che riuscì, nel 1241, a porre sotto la propria influenza il piccolo centro ernico. Insofferenti al giogo alatrense, i collepardesi passarono in seguito sotto la signoria feudale dei Colonna: il feudo era di esigue proporzioni ma l’economia, fondata sull’allevamento brado dei suini, relativamente prospera.
Agli albori del secolo XIII si costituì in comune e seguì le sorti degli altri comuni pontifici. Nell’Ottocento fece parte della provincia di Campagna, della repubblica romana ed entrò nello stato unitario dopo il 20 settembre 1870. Appartenne al la circoscrizione e poi alla provincia di Frosinone.
Il centro storico di Collepardo è un’oasi di pace: il minuscolo paese, circondato ancora da parte delle antiche mura, conserva il Castello Colonna, poi acquistato dai Tolomei. Se nell’Ottocento Gregorovius sostenne che non si poteva immagìnare un paese più malinconico perché costituito da un gruppo di miserabili casupole, “interrotte solo da una bizzarra chiesa” e circondate da “un muro nero e sgretolato”, non per questo egli non ne rimase conquistato osservando le bellezze naturali. Oggi il paese ha mutato aspetto: il centro ha piccole case ben curate, disposte entro le mura a loro volta circondate da una strada antemurale, che costituisce una sorta di balcone aperto sulla circostante splendida natura. La Parrocchiale del Santissimo Salvatore conserva pitture sei-settecentesche. Si sta lavorando fuori del paese per allargare gli spazi angusti e si costruiscono case moderne.
A un chilometro dal paese si trova il Pozzo d’Antullo, una grandissima depressione carsica formatasi dopo la caduta della gigantesca volta di una caverna. Il pozzo è largo circa 300 metri e profondo 80, ed è a forma di campana; il fondo è coperto da una fitta vegetazione, irrigata da acque sorgive. Le pareti laterali presentano una variopinta gamma di colori e si possono osservare stalattiti.
Altro grandioso fenomeno carsico è rappresentato dalla Grotta dei Bambocci o Grotta Regina Margherita o di Collepardo. Si tratta di un grandissimo antro, esaltato da numerosi scrittori e scienziati, che contiene un variegato panorama di stalattiti: molte volte si presentano in forme bizzarre che richiamano gli oggetti più diversi. Alcune sembrano figure umane: da qui la denominazione più antica. Il Gregorovius, che la visitò in un’atmosfera quasi mistica, rimase molto impressionato: nella bella descrizione che ce ne ha lasciato, lo storico racconta di avere avuto la sensazione di entrare in un tempio egiziano o in un bosco di piante pietrificate. Collepardo è circondato da montagne maestose — sulla Monna e la Rotonaria ancora nidifica l’aquila — e da ambienti e vedute suggestivi. Per questi motivi il WWF ha qui organizzato un giardino botanico.
La Certosa di Trisulti
La Certosa di Trisulti è parte di questo panorama perché, posta a 800 metri, sorge in mezzo a un antico bosco di querce. Sorta nei pressi dell’antico Cenobio di San Domenico di Foligno, di cui sono rimasti i ruderi, è stata costruita agli inizi del Duecento per volontà di Innocenzo III. Affidata ai certosini, l’istituzione diventò una potenza economica in tutto il Lazio meridionale, oltre a essere un importante centro di vita religiosa e di notevole importanza artistica. Dal dopoguerra è affidata ai cistercensi provenienti da Casamari.
La certosa si dispiega in più ambienti rinchiusi entro un vasto recinto: lungo la strada di accesso si trovano edifici destinati a farmacia e biblioteca; la chiesa e il palazzo delimitano il cortile principale; di fianco alla chiesa c’è il convento vero e proprio. Il Palazzo di Innocenzo III ha origini duecentesche come la certosa, ma è stato rimaneggiato nel 1958. Fu qui che, secondo la tradizione, Innocenzo III scrisse il trattato teologico “De contemptu mundi”. All’interno si trova l’importante biblioteca che contiene 25.000 volumi. Anche la Chiesa di San Bartolomeo, eretta nello stesso periodo, è stata oggetto di trasformazioni e ricostruzioni nel Settecento.. Elementi gotici sono visibili nell’interno a una navata. Ha un ricco patrimonio artistico con dipinti fra cui quelli di Filippo Balbi, affreschi e pale d’altare di Giuseppe Caci. Dalla chiesa si accede ai due chiostri e al pregevole refettorio settecentesco.
La certosa è rinomata perché i monaci coltivano e raccolgono erbe officinali utilizzate per liquori; un tempo producevano anche medicinali. L’antica farmacia, dipinta dal Balbi nell’Ottocento, è oggi un piccolo museo: vi si possono ammirare i dipinti, fortemente realistici, che riproducono il farmacista fra’ Ricciardi e altre persone. VI sono inoltre conservati pregevoli mobili del XVIII secolo, vasi in maiolica, filtri e setacci.
A poche centinaia di metri dalla certosa, percorrendo un suggestivo sentiero montano, si raggiunge il Santuario della Madonna delle Cese, incassato nella montagna. E un luogo solitario, rifugio di eremiti, che conserva intatta un’atmosfera mistica e arcana.
A poca distanza, oltre il torrente che scorre davanti alla certosa, esistono i ruderi del Convento di San Nicola, voluto anch’esso da San Domenico per le novizie.