Ieri e Oggi

Colle San Magno

Ieri e oggi
(la vita civile)

E’ nato ed è rimasto un paese agricolo Colle San Magno. E la vita civile, in tutti i suoi aspetti culturali, economici, sociali, si è caratterizzata delle connotazioni tipiche della civiltà contadina benedettina. L’asperità del posto, la difficoltà della conduzione del lavoro, prevalentemente dedito all’agricoltura montana, alla pastorizia, al legname e al carbone, hanno elaborato un carattere dei Colligiani forte, tenace, perseverante, laborioso, intraprendente, dalle multiformi risorse. Nonostante la millenaria storia di una comunità vissuta nell’interclusa catena montuosa tra Monte Asprano, Monte Cairo e le sue orientali propaggini, il carattere del Colligiano non è scontroso e diffidente oltre la conveniente misura; anzi è cordiale e socievole. La cultura benedettina deve aver dato al carattere della Comunità colligiana il meglio del suo messaggio: la laboriosità, la spiritualità, la moralità! La laboriosità è stata, per gli abitanti di Colle San Magno, la ragione e il mezzo della sua stessa esistenza. I primi occupanti di Cantalupo e poi di Colle non erano né guerrieri né conquistatori alla ricerca di terre di cui impadronirsi con la forza, né di bottini; erano solo dei contadini alla ricerca di colline da disboscare, di terre da dissodare, di pascoli da offrire in nutrimento ai propri armenti, di pietre da cementare l’una sull’altra per costruirsi un riparo, una dimora. Ben nobile conquista! La spiritualità del popolo di Colle San Magno sono il lavoro stesso, la nobiltà e l’orgoglio di una esistenza tutta conquistata. Una spiritualità pervasivamente tradotta in religiosità, in fede, in Cristianesimo, di cui si fa simbolo ed esempio vivente quel pio chierico buono, il quale “sanctus reputabatur ab omnibus regionis illius”; era cioè ritenuto santo da tutti gli abitanti della sua regione, santo perché era dedito al suo lavoro, santo perché compiva opere buone, santo perché pregava, santo perché amava il prossimo suo. L’onestà appartiene innanzitutto a chi ricava il proprio vivere dal lavoro e conosce il valore di ciò che si è e di ciò che si ha. L’onestà del singolo cittadino, l’onestà privata è anche quella pubblica, civica, comunitaria. Giova ricordare un esempio documentario: nel “Conto Morale” della Giunta Municipale, per l’Esercizio finanziario del 1895, in Conto Consuntivo, traspaiono la rilevante attenzione di quegli amministratori comunali e la loro preoccupazione di oculatezza, trasparenza, correttezza nella gestione degli affari pubblici e del pubblico denaro, nel massimo rigore di debita economia. Leggiamo tra l’altro: “… La Giunta ha la coscienza di aver adempiuto con onore ed imparzialità al mandato affidatole dal consiglio comunale”, a cui rimette di valutare “se bene o male ha interpretato i suoi intendimenti”. Si rileva ancora come, essendo mancate le entrate provenienti dal taglio del bosco comunale, “il Bilancio ha potuto seguitare ad essere gestito senza espedienti contabili; ciò dimostra la massima parsimonia, la vera economia ridotta a minimi termini nel maneggio delle spese”.

La storia di Colle San Magno ha mille anni, essendo iniziata intorno al Mille, quando una parte della comunità civile insediata su a Monte Asprano, l’antico Castrum Coelum, si sposta, scendendo ad abitare a Cantalupo. Erano le vecchie famiglie contadine di Aquino, rifugiatesi su Monte Asprano in due ondate migratorie, che ormai decidevano di abbandonare definitivamente il sito montuoso e inospitale sia per l’asperità del suolo, sia per la persistente penuria d’acqua, sia per la lontananza dei campi da coltivare. Risultando poi angusto il sito di Cantalupo, fu edificato il Castello di Colle, con le sue mura, le sue fortificazioni, le sue tre porte, la sua chiesa. Sinteticamente, Colle San Magno, in tutta l’età del Basso Medioevo e fino alla sua unione al regno napoletano, agli inizi del 1700, condivise le sorti di Aquino e di Montecassino, essendo stato possesso ora dei Conti d’Aquino ora, degli Abati benedettini. Nell’anno 1100, Colle San Magno, in realtà, faceva parte del Feudo di Castrum Coelum, insieme all’altro abitato di Palazzolo. Costituirà feudo a sé stante all’epoca in cui dominarono sul Regno di Napoli gli Angioini, venuti in Italia con Carlo I D’Angiò, nel 1266. Se le due comunità civili, derivate da Castrum Coelum, di Colle San Magno e Palazzolo ben presto si divisero, non così fu per la comunità religiosa, che continuò ad essere unica fino alla metà del 1800. Infatti, agli inizi del Mille, dopo che già esistevano i distinti abitati di Colle San Magno e di Palazzolo, su Monte Asprano, nei pressi del vecchio castello di Castrum Coelum, fu edificata la chiesa di Santa Maria Assunta, elevata a comune parrocchia sia di Colle San Magno che di Palazzolo. Allo stesso modo costituivano unico clero i sacerdoti residenti nei tre nuclei di Castrocielo in Asprano, Colle San Magno e Palazzolo, alle dipendenze dell’arciprete di Castrocielo. Anche quando le due Università di Colle San Magno e Palazzolo furono nettamente distinte, restarono unica la parrocchia e unico il parroco di Castrocielo in Asprano. Quando furono costituite le due parrocchie di Colle e di Palazzolo, l’una dedicata a San Magno e l’altra dedicata a Santa Lucia, ancora unico continuò ad essere il parroco, che risiedeva per sei mesi a Colle San Magno e per sei mesi a Palazzolo. Solo nel 1850 furono separate le due parrocchie, con decreto del vescovo, datato 10 ottobre 1847, con cui si assegnava un parroco per la parrocchia di San Magno e un parroco per la parrocchia di Santa Lucia. Questa comunanza di vita civile e religiosa, durata per secoli, resta ancor oggi testimoniata nella tradizionale processione del Lunedì di Pasqua, fatta dai due comuni di Colle San Magno e di Castrocielo, su Monte Asprano, alla chiesa, ormai santuario, di Santa Maria Assunta. Ma torniamo a seguire le scarne notazioni storiche, la cui fonte principale resta il Cayro.

Nel XII secolo, l’imperatore Enrico VI di Svevia, donò ai monaci di Montecassino Castro Cielo insieme alla contea di Aquino. Ma Filippo d’Aquino occupò Castro Cielo sottraendolo al possesso di Montecassino. Segue un alternarsi continuo di possedimenti, di donazioni, di occupazioni, da parte di questo o di quel principe, da parte di Aquino o di Montecassino, per cui Colle San Magno, come d’altronde un pò tutte queste nostre terre, seguirà le diffuse vicissitudini della storia della Penisola, fino all’Unità d’Italia; vicissitudini particolarmente laceranti nella martoriata area della Valle del Liri – Garigliano, zona di frizione degli scontri al confine tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, zona di scontri tra Spagnoli e Francesi, zona aperta alla conquista e alle relative contraddizioni napoleoniche, zona fertile per ogni tipo di brigantaggio. Per lungo periodo, fino al 1407, Colle San Magno fa storia con Castro Cielo, posseduto da Giovanni De Apia, quindi dalla di lui figlia Isabella De Apia, da Raimondo Del Balzo, da Nicolò Spinello, da Francesco d’Aquino, dall’Abate di Montecassino. Nel 1407 Colle San Magno figura come feudo, a sé stante, in possesso di Giovannella Stendardo, sposata Tomacello. Tra l’Abate di Montecassino e Antonio Spinello si venne alle armi per il possesso di Castro Cielo. La risoluzione, tuttavia, non venne dall’esito della guerra, bensì da un arbitrato del cardinal Brando da Piacenza e Giordano Orsini, a ciò designati dalla Regina Giovanna II, con decisione favorevole per Montecassino. Castellano di Colle San Magno, nominato dall’Abate di Montecassino, fu tal Scazza Fumo. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XV secolo, papa Pio II, le cui armi muovevano in aiuto di Ferdinando d’Aragona ed occupavano terre e castelli ai confini di Terra di Lavoro, fece occupare anche Colle San Magno, che fu affidato ad un castellano e con segnato in possesso dell’Abbazia di Montecassino.

Nel 1471 è accertato che la predetta Abbazia possedeva Colle San Magno, non Castro Cielo, posseduto da Beatrice Gaetani, marchesa di Pescara. Nello stesso anno fu eletto abate di Montecassino Pietro D’Aragona, il quale procedette all’inventano dei beni del Monastero e delle città e terre in suo possesso. In tale inventano si legge del possedimento di Colle San Magno: “Lo dicto Castello de dicta terra cum turribus, et muris circumdatum, in capite dicti Castri. Item la baliva de dicto Castello”. La traduzione si può intendere che, tra i beni del patrimonio di San Benedetto, c’era il Castello di Colle San Magno, con le sue torri e con le sue mura di cinta poste a difesa della cittadella. Parimenti c’era, quale bene del predetto Castello, la baliva, cioè la rendita del l’ufficio di balivo (giudice), che ogni anno era posto in vendita. Durante l’occupazione francese, nel XVI secolo, Aquino fu donata da Ludovico XII a tal Granella, soprannominato Gallo, il quale occupò Cantalupo e conquistò Colle San Magno, sottraendolo così al possesso dell’Abbazia. Per tale evento l’abate fece ricorso al Supremo Consiglio del re di Francia, a cui i monaci benedettini portarono numerose testimonianze e documenti a sostegno della loro causa. Tra i testi c’era anche Giovanni Andrea Carraffa, giudice del territorio di San Germano, il quale testimoniò che sin da tempi remoti il Castello di Colle San Magno era stato possedimento dei monaci di Montecassino. Non abbiamo notizia dell’esito della causa. Nel 1504 Colle San Magno viene occupato Da Alfonso D’Avalos, marchese di Pescara. Qualche anno dopo, il figlio di Alfonso, Ferdinando, ottiene la formale investitura di Signore del Castello di Colle San Magno dall’imperatore Carlo V. Nel 1525, tuttavia, Ferdinando Francesco d’Avalos, il celeberrimo marchese di Pescara, comandante dell’esercito imperiale di Carlo V e vincitore a Pavia (1525) del re di Francia Francesco I, scrisse alla moglie, Vittoria Colonna, di restituire il Castello di Colle San Magno all’abate di Montecassino. La piissima donna, anche famosa per la sua bellezza e per la sua delicata arte poetica, non riuscì ad attuare la volontà del marito, che era nel frattempo morto, poiché gli eredi si mostrarono decisamente contrari a questa determinazione. Per compensare in qualche modo i monaci di Montecassino di questa mancata restituzione, Vittoria Colonna destinò loro una sua rendita di 50 mila ducati annui, fino a quando non fosse restituito il Castello di Colle San Magno. Invano Vittoria Colonna seguiterà a scrivere le sue lettere a questo e a quello per la retituzione del “Colle di Manno al sacro monastero di Monte Casino”, fino a quando gli amici monaci non ricorreranno a papa Pio IV, il quale ordinerà al vescovo di Aquino, allora Adriano Fuscone, di ottenere la restituzione dei beni usurpati a Montecassino.

Quando i Boncompagni comprarono la Contea di Aquino, Colle San Magno passò in loro possesso. Lo teneva il governatore di Aquino, che allora risiedeva a Roccasecca.

Nel 1796, esattamente in data trentuno agosto, i Boncompagni cedettero in permuta le loro terre, tra cui Colle San Magno, al Regno di Napoli. Con la venuta dei Francesi, a seguito delle conquiste di Napoleone Bonaparte, dal 1799, anno della proclamazione della Repubblica Partenopea, assistiamo, in tutte le terre del Mezzogiorno, a quel fenomeno di patriottismo borbonico che vide in azione molti capimassa, come Fra’ Diavolo, che a Colle San Magno arruolò uomini per combattere i Francesi.

Con l’Unità d’Italia, dal 1860, Colle San Magno entra nella vita politica, civile, amministrativa nazionale. Al governo del Comune provvede, da questa data, un Consiglio Comunale eletto dai cittadini a suffragio universale, con una Giunta Municipale ed un Sindaco.

La prima età della vita unitaria, purtroppo, è rattristata dall’infausto fenomeno del brigantaggio. Era sorto, questa seconda fase di brigantaggio ottocentesco, perché alimentata da Francesco II, ultimo re del Regno delle Due Sicilie, il quale non si rassegnava, nemmeno dopo le conquiste di Garibaldi, nemmeno dopo essere stato stanato dal rifugio di Gaeta, a perdere il suo Regno, e sperava in una resistenza popolare. Esule a Roma, riuscì ad organizzare un Comitato di azione per una congiunta ripresa contro l’ormai straripante nazionalismo, servendosi del brigantaggio meridionale. Chiavone, Pace, Fuoco, Guerra, Colamatteo, Cedrone, Andreozzi furono briganti delle nostre zone, che a Colle San Magno, sulle alture del Monte Cairo, trovavano idonei rifugi. Tali briganti non tutti e non sempre servivano esclusivamente la causa borbonica, ma molto spesso ne approfittavano per dare sfogo ai loro istinti delinquenziali. Episodi di violenze, sequestri, ruberie, saccheggi funestarono Colle San Magno, e la memoria popolare ne riporta ancora viva l’eco. La cima di Punta Tommaso, in territorio di Colle San Magno, ricorda, nel toponimo, una delle vittime dei briganti, tal Tommaso lunno, che pagò con la vita un malaugurato “scherzo”. Si racconta che il detto Tommaso, un pastore della zona, com’era comunemente d’uso, offriva ai briganti latte, formaggio, ricotta e “caciata” fresca, per tenerli buoni. Un giorno, era di giovedì, Tommaso ebbe l’infelice idea, non si sa bene se per avvelenare o per far acciuffare i briganti, di versare polvere sonnifera nella “caciata”, che ebbe l’effetto di far dormire i briganti fino alla domenica, quando furono svegliati dal suono delle campane per la messa. I briganti punirono l’incauto pastore uccidendolo selvaggiamente e configgendo nella sua fronte un chiodo a sostegno di un foglio di carta, su cui, con lo stesso sangue del pastore, furono scritte queste parole:

“Chéste succède agl’intrigante che vònne fa la spia agli brigante”.

Legna e carbone sono stati e in gran parte restano la ricchezza più cospicua del suolo di Colle San Magno ed hanno costituito, e in gran parte costituiscono, il cespite maggiore delle risorse del bilancio comunale. Esaminando un bilancio dell’esercizio finanziario del Comune del 1895, risultano le seguenti Entrate Ordinarie:

Fitto di terreni £. 359
Fitto di fabbricati £. 40
Fitti dìversi (… cave…) £. 1.000
Taglio ordinario dei boschi £. 12.000
Interessi attivi da rendita pubblica £. 70
Diritti di pascolo nei beni comunali £. 2.928
Dazio £. 200
Diritti degli atti di stato Civile e di Segretaeria £. 120

Sono cifre eloquenti. Su un totale di £. 16.717 di Entrate, oltre il 70% proviene dal taglio ordinario dei boschi; il 17,51% proviene dai diritti sui pascoli comunali.

Le cime montuose che occupano il territorio di Colle San Magno sono interamente ricoperte di folti boschi, tutti boschi di elci, ad eccezione del bosco su Monte Cairo, che è di faggi. In tutte le stagioni è possibile individuare sulle superficie boschive appezzamenti a forma quadrangolare, che si differenziano o per intensità del colore verde o per rarefazione degli alberi: sono le sezioni da taglio” in cui si dividono i boschi. Tali sezioni sono arrivate ad essere perfino 18. Questo sistema di utilizzazione delle piante ne consente un razionale sfruttamento, sì da avere un tempestivo rimboschimento delle sezioni tagliate. La legna ricavata viene utilizzata o per fare carbone o per essere venduta, per lo più a taglio da ardere. Nel passato prevaleva la immediata trasformazione in carbone, che avveniva sul posto. La legna viene tagliata a tronchetti lunghi circa cento centimetri. Poi accatastata con arte in cumuli tondeggianti di circa tre metri d’altezza per due e cinquanta di diametro. All’interno del cumulo bisogna lasciare un fumaiolo centrale, per la fuoruscita del fumo e dei vapori. Il tutto viene ricoperto di terriccio, per impedire la normale ossigenazione, che farebbe bruciare la legna. In effetti, la combustione non deve avvenire. Quando il cumulo, cioè la “carbonaia”, nel dialetto locale detto “catòzze”, è pronta, si dà fuoco alla legna, in più parti della perimetrazione di base. Il “catozzo”, così, fumigherà per qualche settimana. Dopodiché, sono fatti diversi quintali di carbone, di ottima qualità: carbone nero, che tinge pochissimo, di tipo “forte”, sonante, non friabile, che brucia con poco fumo e senza fiamma, dall’ottima resa in potere calorifero, da 5.000 a 7.500 calorie. Il carbone viene così caricato sui muli e portato in vendita. Oggi è quasi scomparsa l’attività di produzione del carbone. E’ invece molto attiva la vendita della legna da ardere, tagliata a pezzatura minuta, per il camino o per la stufa, da riscaldamento e da ristorante. In vero sono ormai rimasti pochi esemplari di case riscaldate solo con camino, o termocamino, o stufa, non solo per la poca praticità di questo primitivo mezzo di riscaldamento, ma anche per il costo elevato che esso comporta. Oggi, a Colle San Magno, la legna da ardere costa in media 10 euro il quintale. Altrove 14. Un certo quantitativo di legna a piccola pezzatura è richiesta, da fuori Colle San Magno, anche dall’uso sempre più frequente del barbecue e del riscoperto forno a legna, sia di private famiglie che di ristoranti, pizzerie, panifici e biscottifici artigianali. Il legname da alto fusto serve per l’uso di falegnameria, faggio e quercia, ma è di scarsissima rilevanza economica, oggi. Diversamente fu nel passato, quando tavole e travi servivano anche per l’edilizia: soffitti, architravi, scale, porte, finestre, balconi erano di legno. L’intero ordito a sostegno dei pavimenti era completamente di legno e si chiama, nel dialetto locale, “pesserato”. Il termine forse deriva dalla parola greca pesseia, che vuol dire dado e quindi il relativo gioco simile a quel lo degli scacchi: la scacchiera richiama il disegno geometrico del “passerato”. Il solaio era dunque formato da travi, poste da un muro all’altro. Sulle travi, trasversalmente, erano posti assi, alla distanza di circa un metro, chiamati, nella lingua locale “massaritte”. Su questi “massaritte” venivano poste le tavole, su cui giaceva il pavimento, formato da uno strato di rena impastata con la calce e dal sovrapposto strato di mattoni in terra cotta. A fine Ottocento i tronchi di faggio e di quercia venivano trasportati a valle, solitamente a mezzo di buoi, per ricavarvi le “traverse” per le ferrovie.

Le miniere di asfalto sono una singolare caratteristica, a Colle San Magno. Oggi ne restano le numerose gallerie, penetranti profondamente nelle viscere della montagna. Si accede alle vecchie miniere dal paese, salendo per vie in mezzo a boschi di elci refrigerati da amena fitta ombra e per ripidi tornanti. Si arriva ad uno spiazzo in cui si notano, come scheletri, i residui pilastri in cemento di quello che era l’impianto della teleferica. Sul suolo la botola di una cisterna per la raccolta delle acque, piena fin quasi all’orlo, nonostante luglio inoltrato. Intorno i resti murari della struttura per la lavorazione dell’asfalto. Più in là sono alcuni rialzi per agevolare le operazioni di carico della legna sui muli e automezzi. Da qui ci si mette alla ricerca delle gallerie delle miniere abbandonate, ricerca non facile, data la folta vegetazione. Se non che, ad un certo momento, solo dopo qualche minuto di salita, da un anfratto fuoriesce un getto d’aria violentemente gelido, in piena estate. S’intuisce subito ch’è lì una prima galleria. All’imboccatura, appena ad altezza d’uomo, è molto fastidioso sostare, si rischia un’infreddatura. Si entra, si cammina comodamente eretti, alla luce di una indispensabile torcia, fin ché dura il coraggio di resistere alla claustrofobia, al senso di smarrimento, al pur improbabile rischio di un’improvvisa frana. Dopo nemmeno cinquanta metri dall’imboccatura, s’incontra una biforcazione, dove il tunnel di destra è ostruito da una frana. Sarebbe interessante proseguire, ma non tutti ci riescono. L’immaginario collettivo vede nei meandri di queste miniere ombre misteriose, scheletri umani di civili e militari tedeschi, probabili tesori abilmente collocati da soldati del l’ultima guerra, sottratti alle ricchezze dei palazzi, delle chiese, ma soprattutto alla sontuosa Abbazia di Montecassino. Un tesoro, nel passato, sicuramente vi fu: quello del lavoro a quasi tutti gli operai di Colle San Magno, e anche dei paesi viciniori. Lo sfruttamento minerario risale alla seconda metà dell’Ottocento. Dopo la prima guerra mondiale le miniere furono cedute in fitto alla B.P.D. – Bomprini Parodi Delfino – Di Colleferro, che costruì la teleferica, da Colle San Magno Monticello a Castrocielo, sostituendo così il gravoso trasporto che prima veniva effettuato con i muli. Le pietre di asfalto dovevano essere lavorate con olio minerale, che la B.P.D. estraeva dalle miniere di Albania. I pani di asfalto, deposi tati dalla teleferica a Castrocielo, venivano poi trasportati alla stazione di Roccasecca, per l’ulteriore destinazione. L’asfalto di Colle San Magno era di ottima qualità e molto richiesto. Le miniere furono disattivate con la seconda guerra mondiale, quando la B.P.D. perse le risorse di olio minerale in Albania.