Campoli Appennino

Comuni

Provincia di Frosinone, abitanti 1778, superficie Kmq 33,37, altitudine m.650

Abitanti: Campolesi
Festa patronale: San Pancrazio
Frazioni e località: Rifugio Simoncelli
Comuni limitrofi: Alvito, Broccostella, Pescosolido, Posta Fibreno, Sora.
Distanza da Frosinone Km. 39
Autostrada: A1 Ceprano

Note Storiche

Il comune di Campoli Appennino è posto nella parte orientale della provincia di Frosinone, al confine con l’Abruzzo, nelle vicinanze di Sora. Parte del suo territorio si trova nel Parco nazionale d’Abruzzo.

Il paese si trova sull’orlo di una grandissima dolina, chiamata localmente Fossa o Tomolo: si è pensato ad un cratere di vulcano, ma l’assenza di significativi eventi tellurici ed il carsismo dell’area hanno ricondotto l’ipotesi ad un crollo per erosione sotterranea.

Il territorio è molto aspro ed accidentato: si notano molti e interessanti ambienti naturali di difficile accesso, fra i quali caverne con stalattiti.
Un orrido è particolarmente spettacolare: si trova nella zona del fosso Lacerno, un corso d’acqua che attraversa il territorio campolese in direzione di Sora. Malgrado l’altitudine, il paese non è ricco di acque per la natura carsica del terreno; solo a Carpello c’è una relativa abbondanza idrica.

Nelle aree più basse del territorio campolese, in località Carpello, sono stati rinvenuti reperti archeologici provenienti da una villa rustica romana prospiciente il lago di Posta Fibreno. E, ancora, oltre ai resti di un’altra villa rustica, quelli di un acquedotto romano costruito per rifornire Sora con due ponti per scavalcare il Lacerno.

I reperti archeologici confermano l’impressione di una cospicua presenza romana nel territorio attraversato da un’antica strada che da Sora conduceva in Abruzzo.

La fondazione di Campoli, nel sito attuale, è stata fatta risalire ai longobardi, che lo fortificarono con mura ed un’alta torre quadrata, ancora esistente. Con le invasioni saracene gli abitanti abbandonarono Campoli e fondarono un villaggio nei recessi più nascosti dei monti, ma, passato il pericolo, tornarono ad abitare l’antico paese.

Da questo momento, la comunità campolese rimase stabilmente abbarbicata ai suoi monti, dotandosi di mulini nella zona di Carpello, area privilegiata per le coltivazioni.

Per il resto la storia di Campoli è una storia di guerre (la prima ricordata è quella menzionata dalla Passio S. Restitutae: i campolesi si ribellano ai sorani, ma sconfitti, si vedono devastato l’agro e il paese; i cittadini, imprigionati a vita, sono liberati per intervento della santa), distruzioni (nel 1150 è incendiata da un de Ceccano) e ricostruzioni (fra il 1160 ed il 1180 in un’area più raccolta). Campoli nella suddivisione politico-territoriale si legò ai signori di Alvito di cui seguì le sorti fino al 1806. Giulio Prudentio di Alvito ce Io descrive nel Cinquecento: come un paesello con qualche famiglia nobiliare e alcune persone che si distinguono. La gente è, per la maggior parte, pacifica e produce alimenti a sufficienza, il territorio è aspro ma produttivo.

Nell’Ottocento si aprono alcune miniere di ferro e si tenta l’allevamento dei bachi da seta. Campoli segue le sorti del regno napoletano; annesso al regno d’Italia, i suoi abitanti tenacemente guardano alla parte borbonica. Dopo l’unificazione, Campoli è sempre più strettamente legata a Sora; inizia un processo di lentissima modernizzazione e c’è una forte emigrazione per la costituzione di nuclei di emigranti campolesi all’estero e a Roma, ove sono soprattutto fiorai e fruttivendoli.

La parte più antica del paese conserva ancora la cinta muraria, ma l’abitato, dominato dall’alta torre con base tronco-conica, alta 25 metri e riutilizzata come serbatoio idrico, è uscito fuori dalla vecchia cinta. La piazza principale si apre a balcone sulla dolina: da essa si vedono chiaramente l’interno della profonda voragine, le sue verdi balze, la vegetazione spontanea e il fondale prativo.

La chiesa principale di Campoli è la Parrocchiale di Sant’Andrea: la decorazione interna è del Settecento, qualche bel quadro risale allo stesso periodo. Una tela, rappresentante San Felice Martire, dipinta all’inizio dell’Ottocento, presenta l’immagine della Campoli di quei tempi. Agli inizi del Novecento vi lavora un artista sorano, Bernardo Biancale, il quale è stato per molto tempo a Parigi: i suoi affreschi sono stati in parte distrutti recentemente. Nelle montagne del territorio campolese si trovano i resti di chiese e di edifici monastici in gran parte diruti; si tratta di conventi o romitori molto attivi nel Medioevo, forse distrutti da incendi, dei quali si è trovata traccia insieme a vari oggetti d’arte sacra nascosti dai monaci.

Il territorio è particolarmente ricco dal punto di vista naturalistico: l’ambiente alpestre, gli orridi, i ricchi boschi, i fossili e le grandi depressioni carsiche ne sono la testimonianza.

Da secoli i campolesi raccolgono e commercializzano il tartufo; si tratta del tartufo nero, conosciuto dal Settecento.

Raccolto grazie ai cani, è venduto e viene utilizzato nella gastronomia locale. Attualmente è in atto una certa ripresa demografica e la popolazione si occupa delle attività connesse al tartufo, lavora nelle cave e, in parte, è impiegata nelle industrie dell’area sorana.