Pofi
Provincia di Frosinone, abitanti 4.543, superficie Kmq 30,71, altitudine m. 283
Abitanti: Pofani o Pofinesi
Festa patronale: San Sebastiano
Frazioni e Località:
Comuni limitrofi: Ceprano, Ripi, Arnara, Ceccano, Castro dei Volsci.
Distanza da Frosinone Km. 13
Autostrada: A1 Frosinone
La Storia
Il nome Pofi deriva dal toponimo bassomedioevale Pufa di cui però non si ha l’origine precisa; qualcuno ha pensato che derivi dal nome in greco del serpente o dai mitici Proci qui rifugiati, ma si tratta di ipotesi senza fondamento.
Il territorio di Pofi è frequentato dall’uomo da circa 400.000 anni: sono state in fatti scoperte abbondanti tracce umane dal Paleolitico all’Età dei metalli in diverse zone come la cava Pompi, il fosso Moringo, la fontana del Cerro, ove sono stati trovati una tibia umana ed un’ulna, di versi strumenti sia di pietra che di metallo e ossa fossili di animali cacciati dagli uomini preistorici. In epoca protostorica, il territorio fu abitato da tribù volsche che ci hanno lasciato tracce poco significative. In epoca romana la zona diventò importante perché situata nell’ambito di Fregellae, la colonia romana fondata in funzione antisannita e distrutta dagli stessi romani nel 125 a.C.
Non si trovano però resti di insediamenti consistenti: sono infatti venuti alla luce reperti di una villa rustica in località Pratella e diversi frammenti in contrada San Benedetto, fra cui molti oggetti votivi e pavimentazione musiva. Tutti questi reperti archeologici sono esposti nel locale Museo paleontologico e archeologico.
Pofi si trova nell’area delle colline erniche che scendono verso il Sacco. In questa zona i romani fecero passare la via Latina, l’importante arteria che collega va Roma con Capua; nello stesso territorio esisteva una strada trasversale di transumanza che dalla media valle del Liri e dai monti Ernici si dirigeva alla pianura Pontina. Per questi motivi, prima del Mille, fu eretto un insediamento fortificato. E opinione comune che tale abitato abbia avuto in origine un carattere eminentemente militare e che solo a partire dall’XI secolo si sia evoluto verso forme d’insediamento civile. Sull’alto del colle, utilizzando rocce basaltiche d’origine vulcanica, si eresse un fortilizio rimaneggiato più volte ma tutto centrato su un sistema di torri, fra cui ancora spicca una torre “mastra” a base pentagonale, collegate da cortine a circondare una vasta piazza d’armi, ricavata con costruzioni e spianamento del rilievo. La prima menzione di Pofi è dell’XI secolo, in un documento datato 1000-1039; a quel tempo il castello era soggetto anche politica alla diocesi di Veroli, ma ben presto il sistema politico si evolse verso una forma di gestione feudale di tipo condominiale, molto frequente nel Lazio meridionale di questi secoli, avendo in comune con Ripi i signori. Dipendente dal potere papale, spesse volte il paese fu coinvolto nelle guerre di confine: infatti venne incendiato nel 1155 e distrutto nel 1186 dalle truppe tedesche di Enrico VI.
Il sistema condominiale entrò in crisi nel corso del XIII secolo; verso la fine del secolo i Caetani riuscirono a impadronirsi della signoria pofana; la tennero fino al Quattrocento, quando il feudo passò ai Colonna per rimanere nelle mani di quest’ultimi fino al 1816.
In alcuni periodi il feudo tornò probabilmente al papato, come fa supporre l’assalto e la conquista di Pofi da parte dei comuni ribelli al papa nel 1366. In altri casi furono i pofani a ribellarsi ai troppi esosi signori: infatti nel 1459 scacciarono i Caetani, favorendo l’ingresso dei Colonna. La ribellione era dovuta, al di là
dei fatti contingenti, alla nascita e alla crescita di un ceto nuovo: la piccola borghesia che non sopportava più gli attacchi signorili ai suoi privilegi.
Agli inizi del Cinquecento, i Colonna consolidarono la loro signoria a Pofi ove organizzarono la milizia locale, posta alla base della loro potenza, i cui reparti partecipavano alle diverse lotte antipapali dei Colonna. Alcuni militari pofani combatterono con Marcantonio alla battaglia di Lepanto. Ma Pofi ebbe anche la fortuna di diventare il capoluogo della parte meridionale dello stato colonnese entro il dominio papale. Qui, infatti, risiedeva l’uditore generale che aveva con sé un apparato burocratico e si occupava di giustizia e sicurezza. Lo stato dei Colonna comprendeva una quindicina di feudi, alcuni dei quali si espansero rapidamente e ben presto, nel 1734, il capoluogo venne spostato a Ceccano, pur rimanendo la designazione del feudo come stato di Pofi. Alla metà del Seicento la peste decimò la popolazione. Dopo l’epidemia cominciò un forte incremento demografico che portò il paese a raddoppiare la popolazione prima della metà dell’Ottocento. Anche la struttura sociale cambiò radicalmente: si formò un ceto di proprietari terrieri. Alcuni di questi acquisirono il titolo nobiliare come i De Carolis, più noti per il loro palazzo di via del Corso. L’affermazione delle nuove famiglie contribuì a de terminare la decadenza dei Colonna.
Fra Sette e Ottocento l’abitato cominciò a svilupparsi fuori dei precedenti circuiti murari: nacquero due sobborghi; l’espansione demografica ed edilizia condusse alla riorganizzazione degli spazi e delle strutture sociali: la rocca, decaduta la funzione militare e di residenza del potere feudale e signorile, venne destinata al potere locale, e il Palazzo Colonna fu venduto a privati.
Con l’avvento della repubblica romana giacobina, anche Pofi fu coinvolto direttamente in avvenimenti di più ampia risonanza: molti pofani si ribellarono al nuovo regime portato dai francesi e parteciparono alla sollevazione popolare di quegli anni. Dopo il 1870 cominciò una lenta ma consistente emigrazione dal paese. Durante la seconda guerra mondiale, malgrado Pofi fosse poco distante dalla Casilina, il paese non fu particolarmente colpito dagli eventi bellici fino alla primavera del 1944. I bombardamenti alleati indussero la popolazione a sfollare e fra aprile e maggio si intensificarono per l’imminente avanzata.
L’abitato di Pofi sorge sopra una collina del sistema ernico e il vertice comprende la rocca e una parte del centro storico. Attorno a questa corre una strada antemurale, una circonvallazione di costruzione recente da cui si dipartono diverse strade di scollinamento; la strada antemurale delimita molto chiaramente la cinta dell’antico borgo. Lungo questa rete viaria è sorto il paese moderno anche se una buona parte degli abitanti vive nelle campagne, in case sparse. In alcune zone rurali si sono creati veri e propri agglomerati. Il centro storico è sorto al vertice della collina ed ha assunto una forma ovoidale con due porte principali poste alle estremità dell’unico asse viario. La prima porta è chiamata del Melangolo, la seconda dell’Ulivo: quella del Melangolo è la più caratteristica per il doppio sottopassaggio racchiuso da una volta a botte e con triplice sistema difensivo. Intorno le mura sono state ormai inglobate nelle case, qualche traccia si nota vicino alla Chiesa di Santa Maria e si osservano segni evidenti di torri, sia quadre che circolari. Al centro di questo complesso urbano è stato costruito il Castello con una propria cinta muraria, porte d’accesso, torri ed edifici al suo interno. Il Palazzo comunale è sorto ristrutturando l’antico mastio e conserva la base pentagonale anche se la torre è stata ridotta a soli due piani.
Sulla spianata della Rocca sorge anche un’altra Torre eretta dai Caetani: alta 36 metri, di stile romanico, a scapoli regolari, ha quattro piani. All’interno del terzo piano è affrescata una Crocifissione trecentesca e attualmente la torre è adibita a orologio pubblico.
Il Palazzo dei Colonna è un chiaro rifacimento di gran parte dell’antico castello; esso risulta costruito fra due torri che appaiono in evidenza agli angoli esterni della cinta. Abbandonato nel corso del Settecento e restaurato dal comune agli inizi dell’Ottocento, è stato ceduto dai Colonna dopo la prima guerra mondiale ed oggi ha più proprietari. La muratura spicca nettamente per il suo color funereo a causa del basalto impiegato per costruirla.
Nel centro storico ci sono diversi palazzi sette e ottocenteschi, costruiti lungo la cinta muraria di cui hanno sfruttato le mura esterne; sono quasi del tutto scomparsi gli edifici medioevali, rimangono diversi tratti di mura, qualche torre mozzata, una casa-torre e due case con profferlo nei vicoli. Un palazzo interessante è quello della famiglia De Carolis, edificato nel Settecento e munito di robuste inferriate alle finestre del primo piano.
Per consentire l’accesso alla parte più alta del centro storico a partire dalla circonvallazione, si è costruito un ripido ingresso a forma di ferro di cavallo (così è denominato localmente) attraverso il quale gli automezzi possono salire alla piazza del castello.
All’interno della rocca sorge la chiesa principale dedicata a Santa Maria Maggiore, che, già esistente nel Medioevo, fu ampliata a croce greca nel corso del Settecento su progetto di un architetto locale. L’interno si presenta molto semplice, senza eccessive decorazioni. Diverse piccole chiese rurali sono state erette nelle campagne pofane, per lo più fra Seicento e Ottocento. La Chiesa di Sant’Antonino è la più interessante di Pofi: costruita fra il X e l’XI secolo, è piccola, di stile romanico, presenta un interessante portale e diversi affreschi fra cui un Giudizio universale, dipinto sulla controfacciata interna.
Il periodo di realizzazione degli affreschi, il Trecento, e l’impostazione delle singole scene ricordano la “Divina Commedia” dantesca.
Lungo le strade di scollinamento sono sorti, nel corso dell’Ottocento, due borghi, con qualche bell’edificio; lungo la circonvallazione si trova l’imponente Chiesa di Sant’Andrea, già esistente in epoche più lontane.
Nel territorio di Pofi vi è uno dei pochi boschi planiziari ancora esistenti nel Lazio meridionale: si tratta della Macchia del Signore, un bosco ceduo di proprietà del comune e che conserva nel nome l’antica appartenenza al signore feudale.
Fino agli anni Venti nel territorio di Pofi si raccoglieva torba e lignite da alcuni piccoli giacimenti oggi diventati improduttivi. L’economia però è sempre stata essenzialmente agricola ed ancora una buona parte della popolazione lavora i campi.
Parte degli abitanti è impiegata nelle industrie dell’area frusinate e nell’unica fabbrica locale appartenente all’indotto Fiat.