Ponte Curvo
Ponte Curvo e la sua storia
Il nome ha origine dal “ponte curvo” esistente a cavallo del fiume Liri, ma sotto la dominazione cassinese il termine curvus è stato interpretato come corvus, in riferimento all’animale caro alla tradizione benedettina: da quest’ultima interpretazione discende direttamente l’attuale denominazione affermatasi in età moderna.
Il territorio della città di Pontecorvo è stato frequentato dall’uomo sin dalla Preistoria (quando il grande lago era ancora presente per buona parte del Lazio meridionale, ma forse in ritirata). Sono infatti state trovate, in contrada Vetrine, amigdale e utensili in osso associati ad ossa di animali. Altri reperti del Neolitico sono comparsi durante lavori di scavo nel centro storico: si ritiene che le grotte esistenti nel colle fossero rifugio di abitanti di quella lontana epoca. Anche per l’Età del bronzo e del ferro sono stati trovati sporadici resti archeologici a testimoniare una continuità di presenza umana. In epoca romana il territorio pontecorvese apparteneva alla circoscrizione amministrativa di Aquinum e reperti sono affiorati in più luoghi provenendo per lo più da ville rustiche, necropoli e monumenti sparsi. La villa di una importante famiglia, i Caecina Suetria, era stata costruita nell’area dell’attuale frazione di Sant’Oliva, lungo un importante percorso interno che dal mare conduceva all’attuale valle di Comino. Qui sono stati reperiti diversi elementi ornamentali della grande abitazione di campagna. Le ville rustiche furono attive fino al IV secolo d.C., ma vicino a queste dovevano esserci dei villaggi di cui però non si hanno testimonianze certe.
La città di Pontecorvo però ha una data di nascita abbastanza precisa: verso l’anno 860 il gastaldo di Aquino, Rodoaldo, costruì un castello sulla collina, vicino ad un piccolo villaggio già esistente, per controllare il passaggio sul fiume, in evidente funzione antisaracena nel momento in cui questi occupavano, più o meno stabilmente, alcune aree del Lazio meridionale. La fondazione avvenne nel posto ove era stato già eretto il “ponte curvo”: da questo il nuovo insediamento prese il nome. Il ponte era stato costruito in quella forma curva forse per poter orientare le correnti d’acqua, allora molto forti, e quindi per evitare che i tronchi trasportati battessero contro i piloni. La fondazione avvenne in un luogo strategico anche per la navigazione fluviale, ancora praticata con barche a fondo piatto. Rodoaldo, fortificando il sito con un castello, mura e torri, rafforzò l’insediamento esistente determinando il successo di un abitato destinato a sorti migliori. Pontecorvo nel corso del Medioevo era costituito da due quartieri: Civita e Pastine, il primo sorto sulla sommità del colle, entro la possente cerchia muraria, il secondo, tra il castello e il Liri.
E controverso il fatto se Rodoaldo abbia voluto trasferire qui la sede del gastaldato da Aquino, ma è sicura la fine di Rodoaldo che, nel tentativo di emanciparsi dai conti di Capua, tentò di stringere alleanza con un parente dell’imperatore franco. Ma questi, tal Magenolfo, lo spodestò, uccidendogli i figli e costringendolo a farsi monaco a Montecassino.
Insediamento di un certo rilievo, Pontecorvo ospitò nell’ 866 l’imperatore Ludovico II nella sua missione contro i saraceni. Sempre dai cronisti cassinesi apprendiamo che il gastaldo era riuscito a trarre dalle popolazioni del villaggio, tutte dedite all’agricoltura, un consistente numero di armati e aveva formato un esercito.
Dopo i fatti sopra menzionati, il gastaldato rimane nell’ambito della contea di Capua fino al 980 quando, tale Atenolfo, riuscì a far diventare contea il gastaldato aquinate che, alla sua morte, si divise in due ed ebbe come centri principali rispettivamente Aquino e Pontecorvo. I conti di Pontecorvo tennero testa ai normanni, che solo nel 1065 riuscirono a conquistare la zona e, per ridurre l’importanza di Pontecorvo, aggregarono la contea, dopo averla smembrata, a quella di Gaeta. Questi conti fondarono diversi casali nel territorio per procedere alla sua bonifica ed allo sfruttamento delle risorse, ricorrendo anche a monaci greci, sostituiti dopo qualche tempo da quelli latini. Infatti, nella zona operava il Cenobio di Montecassino, che fra il X e l’XI secolo andava acquistando un’importanza sempre maggiore. Pontecorvo, sminuita per l’aggregazione a Gaeta, diventò un obiettivo da conseguire ed infatti, nel 1105, gli abati si impadronirono del castello. Sembra che i monaci abbiano sborsato circa 300 libbre d’oro, oltre alle 120 per il mediatore che si garantì anche un’investitura feudale. Il dominio benedettino durò per circa quattro secoli, ma venne interrotto dalle occupazioni di altri signori e dalle ribellioni degli stessi pontecorvesi.
Nel 1146 Pontecorvo fu conquistata da Ruggero II che la considerò patrimonio del regno siciliano. Solamente nel 1230 il castello tornò a far parte di Montecassino che, dopo pochi anni, nel 1254, si vide sottrarre il feudo dal papato per lungo tempo. La città fu saccheggiata e quindi incendiata dalle truppe al seguito di Carlo d’Angiò. Questi, insediatosi sul trono di Napoli, rivendicò l’appartenenza alla corona del feudo cassinese di Pontecorvo, che riconobbe ai benedettini solo come sua concessione feudale.
Pontecorvo, con alla testa il vescovo di Aquino Giovanni della Rocca, pontecorvese, parteggiò per Onorato Caetani durante lo scisma d’Occidente, al fine di liberarsi del dominio cassinese. Il vescovo capeggiò la rivolta, scacciando i rappresentanti del governo abbaziale; nel corso della sollevazione, vennero malmenati gli stessi monaci. I pontecorvesi non dettero ascolto a Urbano VI: il loro vescovo, infatti, aderì allo scisma, riconoscendo l’antipapa Clemente VII. Per questo motivo fu scomunicato e deposto. Nel 1380 si trattò la pace con Montecassino: dopo alcuni anni di completo dissenso, si giunse infine a un accordo nel 1387. I benedettini cassinesi avevano diversi interessi a Pontecorvo, fra cui alcune chiese e certe grangie di notevole peso economico. Agli inizi del Quattrocento i monaci cassinesi ripresero totalmente in mano la situazione, avendo il pieno controllo del feudo, ma, fra il 1422 ed il 1463, Pontecorvo fu ancora sotto il controllo del papato, degli angioini, degli aragonesi ed infine, nel 1463, tornò dominio incontrastato dei pontefici.
Il Medioevo pontecorvese è molto interessante per una serie difatti. Verso la fine del secolo XII compare in loco la setta dei “vendicosi”, un gruppo ereticale cristiano che predicava la possibilità di poter compiere il male di notte, mentre alla luce del giorno si doveva essere irreprensibili. La setta sparì a seguito della repressione operata dalle autorità religiose.
Nel 1190 Pontecorvo fu una delle prime città ad ottenere uno statuto che, sebbene molto semplice nella struttura, rappresentò il sintomo di una nuova coscienza nell’ambito dei rapporti fra signori e abitanti. Dal documento, conservato negli archivi di Montecassino, risulta che la città non aveva ancora una organizzazione pubblica di tipo comunale o associativa: il potere era totalmente nelle mani dei monaci. Lo statuto venne concesso dai cassinesi in un momento particolare: era infatti in corso la lotta fra Tancredi ed Enrico VI e gli abati avvertirono l’esigenza di introdurre norme a salvaguardia dei rapporti con i pontecorvesi, anche per avere l’appoggio dei sudditi in caso di necessità. Dallo statuto apprendiamo che la società pontecorvese era già molto articolata e che il ceto prevalente era quello dei milites. Nel 1393 dall’abate Pietro venne promulgato un altro statuto, molto più complesso del precedente, le cui norme servirono soprattutto a regolare la vita interna e lo sviluppo economico del comune che nel frattempo si era costituito. Anche questo statuto venne in un momento molto importante per la storia della zona: l’abate, infatti, dopo lo scisma e le lotte fra durazzeschi, papato e Caetani, intendeva riordinare la signoria cassinese. L’ultimo statuto fu emanato a Pontecorvo nella seconda metà del XV secolo. E il più esteso ed il più articolato della serie: con le nuove regole si aggiornarono e integrarono le norme precedenti. Da questi tre statuti è stato possibile evincere anche l’organizzazione politica ed amministrativa esistente che aveva al suo vertice un governatore, fino al Cinquecento chiamato capitano, designato dal pontefice e una curia composta di elementi locali, da esso dipendente.
Con l’anno 1463 cominciò il lungo periodo di dominazione pontificia che creò a Pontecorvo una situazione paradossale: isolato dai pur vicini domino della chiesa, fu totalmente circondato dal solo regno di Napoli. Questo fatto, se da una parte favorì la città, privilegiata nel governo dal papato, spesse volte fu usato come mezzo di pressione dai governi napoletani, che aggravarono l’isolamento e sovente bloccarono i commerci e le comunicazioni fra Pontecorvo ed i paesi circostanti. La dominazione pontificia determinò un notevole sviluppo economico, che favorì i ceti emergenti pontecorvesi. Alla fine del XVI secolo, Alessandro VI, papa Borgia, elevò Pontecorvo al rango di città prima di concederla al figlio Giovanni.
In questi secoli, oltre alla istituzione di diversi enti religiosi, si era stabilito in Pontecorvo l’ordine di Malta con un ospedale e la Chiesa di San Giovanni a Gaudo, dotata di un grande patrimonio fondiario. Di questa istituzione ci rimane un artistico cabreo con la descrizione dei patrimoni posseduti in Pontecorvo e nei centri vicini e la raffigurazione di questi luoghi in diverse miniature.
Nel 1725 la città si era notevolmente ingrandita tanto che la sede diocesana venne spostata da Aquino e a Pontecorvo fu attribuito il titolo vescovile. Alla fine del Settecento, in un primo tempo la città fece parte della repubblica romana, poi fu sottomessa dalle truppe napoletane di Fernando IV.
Nel 1806 Pontecorvo fu occupata dalle truppe di Napoleone, che costituì un principato a favore del generale francese Giovanni Battista Bernadotte, che ne fu titolare fino al 1810, quando diventò principe ereditario svedese. La città era governata da un pontecorvese, rappresentante del principe, che concesse una “carta costituzionale” molto avanzata e fondata sui principi di giustizia sociale che la grande rivoluzione aveva affermato. I pontecorvesi rimarranno sempre molto legati a questo breve ma significativo regime, nel quale si erano quasi autogovernati alla luce di principi nuovi e più avanzati. Dopo la rinuncia di Bernadotte, Pontecorvo fu incorporata nell’impero napoleonico; occupata da Gioacchino Murat durante il suo vano tentativo di creare un regno italico, nel 1815, fu restituita dal congresso di Vienna al papa, dopo molti tentativi borbonici di annessione. Tre anni dopo la diocesi pontecorvese venne associata a quella sorana. Nel 1820, contemporaneamente agli avvenimenti di Napoli, i membri della loggia carbonara pontecorvese, forte di centinaia di affiliati, si sollevarono e scacciarono i governanti papalini, costituendo un governo autonomo e proclamando la repubblica di Pontecorvo il 4 agosto 1820 che restò indipendente fino al marzo 1821, quando le truppe austriache occuparono la città e la restituirono al papato. Subito dopo, forse con lo scopo di cancellare il passato, vennero abbattute le 12 torri della cerchia muraria e diversi tratti della medesima: la città perse l’aspetto medioevale.
L’animo antiborbonico e antireazionario non abbandonò gli abitanti: a Pontecorvo si attentò alla vita del vescovo diocesano, monsignor Montieri, ritenuto reazionario. Nel 1860 i cittadini si ribellarono ancora una volta al potere pontificio e, prima che Garibaldi fosse giunto fino a Napoli, il 2 settembre proclamarono l’annessione al regno unitario.
Occupata a fine settembre da un esercito borbonico in ritirata, Pontecorvo fu liberata dai piemontesi ed il 7 dicembre i cittadini poterono festeggiare l’unione al regno di Vittorio Emanuele lI. Finiva così la singolare storia di Pontecorvo per secoli “enclave” pontificia, come la non lontana Benevento, nel territorio del regno di Napoli. Nello stesso tempo si sviluppò impetuosa la reazione borbonica che tentò di attaccare la città, contemporaneamente ad una sollevazione urbana promossa dai ceti popolari: per questo motivo il 12 dicembre vennero fucilati tre filoborbonici.
Nel corso dell’Ottocento si costruì una rete viaria più adeguata all’aumentata circolazione ed in particolare la strada per Santa Oliva, frazione di Pontecorvo, proseguita poi fino ad Esperia.
Malgrado un’agricoltura particolarmente favorita dalla fertilità del suolo e un’artigianato molto articolato e specializzato nella fabbricazione di stoviglie, anche a Pontecorvo gli ultimi decenni dell’Ottocento furono caratterizzati da un’imponente emigrazione. Ai primi del nostro secolo la lotta sociale e politica fu molto vivace: si assistette ad un sentito scontro fra il ceto signorile, rappresentato dai grandi proprietari terrieri e dai professionisti, e la gran massa della popolazione, vicina al nascente movimento socialista, guidato da altri professionisti provenienti dal popolo.
Durante la seconda guerra mondiale la città di Pontecorvo, già sulla linea del fronte, il l novembre 1943 fu bombardata con gravi danni alla popolazione civile, alla cattedrale ed alla città in generale. Da quel giorno si susseguirono incessantemente le azioni per abbattere il ponte sul Liri che però, essendo stato costruito in posizione molto coperta, non fu mai colpito gravemente. L’abitato invece fu distrutto del tutto. All’inizio dell’inverno 1943-44, Pontecorvo fu compresa dai tedeschi nel sistema della “linea Hitler” mediante la costruzione di una minuziosa rete di fortificazioni, in particolare di bunker dotati di una torretta di carro armato: alcuni di questi rimangono ancora nelle campagne pontecorvesi. Anche per questo motivo la liberazione della città fu faticosa per gli alleati.
Per le distruzioni belliche, per i numerosi morti fra la popolazione, la città di Pontecorvo è stata insignita della medaglia d’argento al valor civile. Dopo la seconda guerra mondiale molti pontecorvesi furono costretti all’emigrazione verso le Americhe, la Germania e l’Australia.